Diritto e donne

LA NOSTRA REPUBBLICA PARLAMENTARE, IL LAVORO DELLE CAMERE.
Il lavoro parte fattivamente dalla conoscenza della nostra Carta Costituzionale sulla quale è regolata la nostra vita di persone, uomini e donne, e di cittadini italiani. La Carta che i PADRI FONDATORI e MADRI FONDATRICI prepararono dopo la lotta di liberazione, alla fine della Seconda Guerra Mondiale , e promulgarono il 1° Gennaio 1948, fu una sintesi felice di diverse posizioni, basate sul principio di sussidiarietà e di democrazia, pluralista e con un impianto regionalista, ma non federalista , che affermava fermamente l’unità del paese.
In classe si esamina la prima parte della Carta, che contempla i principi fondamentali che sono in numero di dodici, tutti importantissimi e chiarissimi.
In essi si mette in evidenza il ruolo della persona, i suoi diritti e i suoi doveri, nonché il rispetto delle regole e quindi l’importanza dell’educazione alla legalità.
Il nostro lavoro si sviluppa laboratorialmente in quanto alle lezioni in classe si integrano ricerche individuali.

Questa prima parte, necessaria, si snoda attraverso un viaggio addentro alla Costituzione e ai concetti fondamentali di Cittadinanza e Legalità. Le basi sono quelle dello studio del Diritto, anche in quei curricoli, come quello del liceo classico e scientifico, che non ne prevedono la presenza disciplinare nel piano degli studi quinquiennali. Ecco come è stato enucleato e si sviluppa il tema.

1. Nella scoperta della nostra Carta ci siamo soffermati sulle altre parti e in special modo sull’Ordinamento della Repubblica e il ruolo del Parlamento, del Presidente della Repubblica, del Governo, della Magistratura e degli Enti locali , analizzando particolarmente quanto è di competenza del Parlamento attraverso il sito specifico. Abbiamo scoperto che “La Costituzione italiana stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, cioè a tutti i cittadini, che la esercitano nelle forme e nei limiti che la Costituzione stessa indica. Una delle più importanti forme di espressione della sovranità popolare è l'elezione del Parlamento Esso è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica , che hanno eguali compiti e poteri , per questo si parla di “bicameralismo perfetto”
2. Il Parlamento è un'Istituzione centrale nel nostro sistema costituzionale, esso infatti approva le leggi, indirizza e controlla l'attività del Governo, svolge attività di inchiesta su materie di pubblico interesse, concede e revoca la fiducia al Governo; inoltre in seduta comune, integrato dai delegati regionali, elegge il Presidente della Repubblica e, in seduta comune, elegge una parte dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura”.
La Camera esamina e approva le leggi, sia di iniziativa del Governo, sia di iniziativa parlamentare (singoli deputati e senatori - ciascuno nella Camera a cui appartiene), sia di iniziativa popolare (50.000 elettori), sia ancora d'iniziativa del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro o dei Consigli regionali. Durante il procedimento legislativo, ogni testo è esaminato da una delle 14 Commissioni permanenti o da una Commissione speciale, prima di essere discusso dall’ Assemblea. La Camera delibera anche su ogni revisione della Costituzione”.
All’interno di un’assemblea d’istituto abbiamo deciso di invitare alcuni parlamentari della nostra regione, Deputati e Senatori, con i quali vorremo approfondire ulteriormente le conoscenze sul lavoro dei parlamentari ma ai quali porremo anche tante domande perché i giovani sono lontani mille miglia dal loro mondo. Chiederemo loro come stanno operando per dare a noi giovani italiani ed europei una positiva prospettiva di futuro.
Parlamento
Il Parlamento della Repubblica Italiana è l'Organo previsto dalla Costituzione titolare della funzione legislativa, cioè del potere di approvare le leggi. Ha una struttura bicamerale perfetta, in quanto è composto da due Camere che hanno le stesse funzioni: il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati.

Camera dei deputati
La Camera dei Deputati insieme al Senato della Repubblica formano il Parlamento italiano. La Camera è composta da 630 membri, dodici dei quali eletti nella circoscrizione estero: tali membri vengono detti deputati. La sede della Camera dei Deputati è Palazzo Montecitorio.

Senato della Repubblica
Il Senato della Repubblica è una delle due assemblee che, insieme alla Camera dei deputati, costituiscono il Parlamento italiano. Il Senato è composto da 315 membri eletti tra i cittadini italiani che abbiano compiuto i 40 anni d'età, e da alcuni senatori a vita e senatori di diritto e a vita. Il Senato della Repubblica è eletto su base regionale e i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. La sede del Senato della Repubblica è Palazzo Madama a Roma.

3. Il percorso di una legge
La Costituzione stabilisce che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70). Ciò significa che per divenire legge un progetto deve essere approvato nell'identico testo da Camera e Senato. Il procedimento di formazione della legge (il così detto iter) si articola perciò in fasi successive:
  • la presentazione del progetto di legge (iniziativa legislativa)
  • l'approvazione della Camera a cui è stato presentato per prima
  • la trasmissione del testo all'altra Camera e la sua approvazione nella medesima formulazione o con modifiche: se viene modificato, il progetto passa da una Camera all'altra, finché non venga approvato da entrambe nell'identica formulazione (è la così detta navette)
  • la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica (che può rinviare la legge alle Camere per un riesame), la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e la sua entrata in vigore.
Alla Camera i principali passaggi, nella procedura ordinaria, sono i seguenti:
  • un progetto di legge, composto da uno o più articoli e preceduto da una relazione illustrativa, può essere presentato dal Governo, da ciascun deputato, da almeno 50.000 elettori (si tratta delle leggi d’iniziativa popolare), dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro o dai Consigli regionali. Alla Camera, i testi presentati dal Governo vengono definiti disegni di legge, mentre tutti gli altri vengono denominati proposte di legge;
  • Il progetto di legge viene dapprima assegnato alla Commissione parlamentare competente per materia, che svolge un'istruttoria, prepara un testo da sottoporre all’Assemblea e presenta una relazione (per questo si dice che la Commissione opera in sede referente). Nella sua attività istruttoria, la Commissione può stabilire di trattare insieme due o più progetti (che sono detti abbinati) per presentare un'unica relazione e un solo testo l'Assemblea. A tal fine può scegliere uno dei progetti come testo base della discussione o può procedere - eventualmente incaricando un Comitato ristretto - alla stesura di un testo unificato dei diversi progetti. Durante l'esame, la Commissione acquisisce i pareri di altre Commissioni, che si riuniscono in sede consultiva per formulare osservazioni e avanzare suggerimenti sulle parti del progetto di loro competenza. Nella Commissione competente in sede referente possono essere presentate proposte di modifica (gli emendamenti) su cui la Commissione delibera. Sono acquisiti, anche attraverso audizioni di non parlamentari, le opinioni e i dati ritenuti necessari e il Governo partecipa all'istruttoria e alla elaborazione del testo. Al termine del proprio lavoro, la Commissione incarica un relatore di preparare la relazione per l'Assemblea, che riporta il testo predisposto dalla Commissione; possono essere presentate relazioni di minoranza da parte di deputati che non condividono il risultato del lavoro della Commissione. In vista della discussione in Aula viene nominato un Comitato dei nove che comprende i relatori e i rappresentanti dei gruppi della Commissione che ha svolto l'esame in sede referente.
  • La discussione in Assemblea inizia con la illustrazione del testo da parte del relatore e con l'intervento del rappresentante del Governo; seguono quelli dei deputati che intervengono sulle linee generali del provvedimento, esprimendo la posizione dei gruppi. Vengono poi esaminati i singoli articoli del progetto, votando gli emendamenti presentati al testo predisposto dalla Commissione. Nella fase finale, dopo l'esame di eventuali ordini del giorno (che sono documenti di indirizzo al Governo sul modo in cui dovrà essere applicata la futura legge) e, dopo le dichiarazioni di voto finale, si procede alla votazione del progetto nel suo complesso.

Oltre al procedimento ordinario (che per alcune tipologie di iniziative legislative, indicate dalla Costituzione e dal Regolamento della Camera, va necessariamente seguito) sono previsti due procedimenti abbreviati:
  • L’esame e l’approvazione del progetto di legge in Commissione in sede legislativa. Con tale procedura viene attribuito a una Commissione l’esame e l’approvazione definitiva di un progetto di legge (il progetto è però rimesso all’Assemblea se il Governo o un decimo dei deputati o un quinto della Commissione lo richiedono);
  • L’esame da parte della Commissione in sede redigente. In tal caso la Commissione, a ciò appositamente incaricata dall'Assemblea, prepara un testo del progetto di legge per l'Assemblea, la quale però si riserva solo il voto degli articoli e il voto finale, senza poterlo modificare.

Una volta approvata da entrambi i rami del Parlamento nello stesso identico testo, la legge dev’essere promulgata dal Presidente della Repubblica (che può però rinviarla, con messaggio motivato, alle Camere per una nuova deliberazione). Il rinvio presidenziale riapre il procedimento legislativo e, se la legge viene nuovamente approvata, essa deve essere promulgata.
Dopo la promulgazione, la legge viene pubblicata.

La pubblicazione avviene ad opera del Ministro della giustizia e consiste tecnicamente nell'inserzione del testo nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e nella pubblicazione dello stesso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

La legge entra in vigore - e diviene quindi obbligatoria per tutti - il quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, a meno che la legge stessa non prescriva un termine minore o maggiore. La data della legge è quella del decreto di promulgazione, il numero quello della sua inserzione nella Raccolta ufficiale.

Un progetto presentato al Senato e da questo approvato viene trasmesso alla Camera ed esaminato secondo la stessa procedura seguita per quelli che iniziano il proprio cammino alla Camera. Il testo è perciò stampato come gli altri progetti, assegnato ad una Commissione e l’iter segue il percorso sopra descritto.

Nel caso di un progetto già approvato dalla Camera e che torna a Montecitorio perché il Senato vi ha apportato delle modifiche, l'esame alla Camera riguarda le sole parti modificate. Nel nostro sistema di bicameralismo perfetto, la spola di un progetto di legge fra i due rami del Parlamento (la così detta navette) continua fino a quando i due rami del Parlamento non concordano nell'approvare un testo perfettamente identico.
Le leggi del Parlamento, in particolari circostanze, possono essere sostituite da "leggi" del Governo. Non si chiamano però leggi, bensì e ma sostanzialmente hanno la stessa efficacia della legge.
L’esistenza di questi atti rompe il monopolio legislativo delle Camere, creando un concorrente nel Governo. In ogni caso, i procedimenti previsti per l'uno e per l'altro di questi "atti con forza di legge" assicurano la supremazia politica del Parlamento sulle scelte del Governo.
Il decreto legislativo è un atto che il Governo delibera dopo aver ricevuto una delega da parte del Parlamento. La legge di delega deve limitare il potere del Governo in tre punti: nell' oggetto (il Governo non può regolare quello che vuole), nel tempo (non può farlo quando vuole), nei principi e criteri direttivi (non può farlo come vuole) (art. 76 della Costituzione). Il decreto legislativo si usa per l'approvazione di testi importantissimi, come i codici, composti da centinaia e talora migliaia di articoli, che le Camere (anche attraverso le loro commissioni) non riuscirebbero a esaminare se non in un arco di tempo estremamente ampio.

Il decreto-legge, invece, è un atto che il Governo approva direttamente, sotto la propria responsabilità, in casi straordinari di necessità e urgenza, quando l'intervento parlamentare risulterebbe tardivo. Si pensi a provvidenze a favore di popolazioni colpite da cataclismi o a misure economiche che devono entrare in vigore immediatamente per evitare speculazioni.
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Il decreto governativo, però, deve essere convertito in legge dal Parlamento con una legge che deve essere approvata entro i 60 giorni successivi. Se non vi è questa conversione, il decreto si considera come mai entrato in vigore e i suoi effetti vengono eliminati fin dall'inizio. L’intervento del Parlamento è qui successivo (a differenza di quanto accade nel decreto legislativo, ove è preventivo), ma è ugualmente efficace nel garantire la subordinazione del Governo agli orientamenti delle Camere.
Negli anni passati si è assistito a un abuso del decreto-legge. Esso è stato impiegato dal Governo anche in casi in cui non c'erano necessità né urgenza per varare provvedimenti ritenuti politicamente importanti oppure solo per evitare le lungaggini parlamentari e le insidie del procedimento legislativo ordinario (emendamenti, scarsa compattezza della maggioranza, insabbiamenti). Le Camere hanno protestato e, talora, hanno reagito all'abuso negando la conversione. Questa distorsione si è attenuata negli ultimi anni, grazie anche a una sentenza del 1996 della Corte costituzionale, che ha interdetto al Governo la riproposizione dei decreti non convertiti in legge.

L’altro grande settore di attività delle Camere è il controllo e l'indirizzo del Governo. Gli strumenti principali sono:
  • le interrogazioni, domande dei parlamentari sui comportamenti tenuti dal Governo, alle quali esso deve rispondere;
  • le interpellanze, domande sulla posizione che il Governo intende assumere di fronte a certi avvenimenti, le quali hanno quindi un valore politico e possono mettere in questione la linea del Governo;
  • le mozioni, documenti che mirano a promuovere la discussione sull' operato del Governo e che si concludono con un voto, di indirizzo per il futuro o di censura del passato (le mozioni più importanti sono quelle di fiducia e sfiducia, di cui si parlerà a proposito della vita del Governo);
  • le inchieste, cui si è già accennato riguardo alle commissioni parlamentari.

4. Come giovani dell’era della globalizzazione abbiamo cercato se nella Carta vi è stata una previsione al riguardo e la “ abbiamo scoperta” nell’ART. 11 che recita:
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Abbiamo capito qual è stato l’obiettivo primario dei padri fondatori, dopo una guerra terribile, ma abbiamo percepito pure la loro lungimiranza e ci siamo ritrovati fermamente in questo articolo, perché noi siamo cittadini italiani ed europei che vogliono contare oggi e domani in Italia , in Europa e nel mondo.
Abbiamo deciso quindi di partire alla scoperta di quanto questo articolo ci permette.
5. Abbiamo trovato anche che l'azione del Parlamento italiano in relazione alle attività dell'Unione europea si sviluppa sotto tre principali profili:

la partecipazione alla formazione delle politiche europee;

l’attuazione della normativa dell’Unione europea nell'ordinamento interno;

la cooperazione interparlamentare.
I relativi strumenti e procedure sono disciplinati dai regolamenti parlamentari e dalla legge n. 11 del 2005; la cooperazione interparlamentare è regolata in gran parte dalla prassi, nonché da linee guida concordate nella Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell'Unione europea.
Il
Trattato di Lisbona, che riforma i vigenti Trattati istitutivi della CE e dell'UE, è stato ratificato dai 27 Stati membri ed è entrato in vigore il 1° dicembre 2009. In Italia la ratifica del Trattato è stata approvata dal Senato all'unanimità (286 voti a favore su 286 presenti) il 23 luglio 2008 e dalla Camera dei deputati, il 31 luglio 2008, sempre all'unanimità (551 voti a favore su 551 presenti).
Il Trattato, prevede
nuove forme di partecipazione dei parlamenti nazionali al processo decisionale UE, per le quali dovranno essere definite modalità attuative sia a livello dell'Unione europea, sia all'interno dei singoli parlamenti.
  1. Diritti umani e diritto internazionale
Il diritto internazionale ha per lungo tempo ignorato i rapporti tra lo Stato e l’individuo (a eccezione delle norme sulla protezione diplomatica), sulla base del principio della ‘non ingerenza degli affari interni’, sicché la tutela dei diritti umani rientrava nella sfera di competenza interna di ogni singolo Stato. Solo in seguito alle flagranti violazioni dei diritti umani commesse durante il secondo conflitto mondiale, la loro tutela è divenuta oggetto di norme internazionali, sia pattizie che generali.
La Carta delle Nazioni Unite (1945) già conteneva, nel preambolo, riferimenti ai diritti fondamentali dell’uomo ed esortava le nazioni (art. 1) a sviluppare relazioni amichevoli, fondate sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, e a promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale adottò inoltre, con risoluzione 217 (III), la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, pur non avendo carattere vincolante, pose le basi per l’affermazione di tali diritti a livello internazionale. Tra questi, vanno anzitutto ricordati i diritto diritti civili e politici (cosiddetti di ‘prima generazione’, di matrice occidentale), che comportano soprattutto obblighi di astensione per gli Stati: il diritto alla non discriminazione, all’integrità fisica, alla vita, alla libertà personale, di pensiero, di religione. Ci sono poi i diritti economici, sociali e culturali (cosiddetti di ‘seconda generazione’, propugnati in passato dai paesi socialisti), che comportano obblighi di agire da parte degli Stati: diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione.
Negli anni 1970, i paesi in via di sviluppo sostennero l’esistenza di diritti collettivi, o della solidarietà (cosiddetti di ‘terza generazione’), tra cui il diritto allo sviluppo, alla pace, a un ambiente salubre. Questi ultimi possono essere considerati diritti solo in senso lato, in quanto è difficile individuare il titolare degli obblighi corrispondenti, configurandosi piuttosto quali interessi collettivi delle comunità. In seguito si è venuta delineando una ‘quarta generazione’ di diritti umani, connessi all’impiego delle nuove tecnologie soprattutto nel campo della genetica e dell’informatica. Tale classificazione ha carattere descrittivo e non indica una gerarchia, in quanto i diritti umani riconosciuti a livello internazionale si caratterizzano per essere indivisibili e interdipendenti.
Le convenzioni sui diritti umani. Vanno menzionate le numerose convenzioni in materia stipulate grazie all’azione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948); la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965); il Patto sui diritti civili e politici (con due Protocolli addizionali) e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali (entrambi del 1966); la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (1979, con un Protocollo facoltativo); la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984); la Convenzione sui diritti del minore (1989, con due Protocolli facoltativi). Tra gli accordi stipulati a livello regionale occorre infine ricordare: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950, integrata da 14 Protocolli), che ha istituto la Corte europea dei diritti umani, cui possono rivolgersi direttamente gli individui; la Convenzione americana dei diritti umani (1969); la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981).
2- IL TEMA DELLE PARI OPPORTUNITÀ

Lettura dell'Art.3 della Costituzione della Repubblica Italiana
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese
Spiegazione.
L'articolo è stato affrontato e spiegato nel suo complesso prima.
L’articolo è sicuramente uno dei principi più significativi della Costituzione Repubblicana: esso è il portato dei valori che discendono dalla rivoluzione francese (Liberté, égalité et fraternité) e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La proclamazione del principio di uguaglianza segna una rottura decisa nei confronti del passato, quando la titolarità dei diritti e dei doveri dipendeva dall’estrazione sociale, dalla religione o dal sesso di appartenenza. Nell’art. 3, bisogna distinguere il primo comma che sancisce l’uguaglianza in senso formale, dal secondo che riconosce l’uguaglianza in senso sostanziale.
Eguaglianza e non discriminazione. Nel nostro sistema si ha l'uguaglianza formale in base all'art 3

 comma 1 della Cost, secondo il quale non si devono trattare in modo diverso i soggetti in base alla loro razza, 

religione, sesso ecc. Si ha anche l'uguaglianza sostanziale (art. 3 comma 2 Cost.) per cui lo Stato deve 

eseguire azioni positive in modo da far si che l'uguaglianza sia messa in pratica. Si deve distinguere tra 

diseguaglianza antigiuridica e le disparità economiche e sociali.


Si è cercato poi di focalizzare l'attenzione sul tema dell'uguaglianza di genere e le pari opportunità per le donne. Nuovamente partendo dalla Costituzione attraverso questo percorso.
  • art 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Tema del lavoro
  • art 29 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
Tema della famiglia
  • art 30 E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.
Tema della famiglia
  • art 31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
Tema della famiglia
  • art 37 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Tema del lavoro
  • art 48 Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
Tema del diritto di voto
  • art 51 Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.
Tema dell'eleggibilità
Immediatamente, stimolati dall'insegnante, esponiamo una serie di considerazioni che vanno ad ampliare e restituire la giusta complessità al tema scelto. Come emerge dall'analisi di questi articoli della Costituzione i temi dell'uguaglianza di genere viene regolata soprattutto in ambito lavorativo, familiare e sociale. Qui bisogna evitare ogni discriminazione.

Cosa significa discriminazione?
La violazione del principio di uguaglianza si chiama discriminazione (è la disuguaglianza antigiuridica. Non è un

 trattamento diverso qualsiasi ma è un trattamento diverso e peggiore basato su un fattore di discriminazione. La

 discriminazione è un concetto di relazione e si basa su un giudizio comparativo) e si ha la discriminazione

 diretta e indiretta. I fattori di discriminazione sono vari; il primo in ordine di tempo è quello di genere per cui si ha una disciplina separata. In Italia è vietato dalla Costituzione appunto che prevede la parità tra lavoratori e

 lavoratrici e dalle direttive comunitarie. Si ha una direttiva comunitaria per la parità salariale per le lavoratrici e i

 lavoratori nel 1975, che dà attuazione all'art 119 del trattato della comunità europea. Si ha il trattato di

 Amsterdam del 1997 che dice la stessa cosa. Un'altra direttiva è entrata in una legge interna del 2006 che fa

 parte del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, modificato dalla direttiva del 2006 Refusion e dal Jobs

 Act.. Gli altri fattori cominciano con l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam nel 1999, bastato sul trattato

 della comunità europea (nel 2000 si hanno le direttive sulla razza, etnia, religione, convinzioni personali

, orientamento sessuale, età ed handicap). Si hanno due definizioni per la discriminazione di genere (direttiva Refusion):
  • diretta: si ha un nucleo centrale forte che è la nozione oggettiva di discriminazione in base agli effetti e non all'intenzione dell'agente. È presunta in via assoluta, non ammette nessuna giustificazione;
  • indiretta: la definizione deriva dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Gli elementi essenziali di
  •  questa definizione sono: situazione di svantaggio, la presenza di una misura neutra e l'effetto di disparità di trattamento di questa misura. Ad esempio si ha la discriminazione indiretta quando in un concorso si ha lo stesso punteggio per uomini e donne in prove di idoneità fisiche.
La discriminazione diretta si basa sull'uguaglianza formale, quella indiretta su quella sostanziale. Per gli altri

 fattori la distinzione tra diretta e indiretta è uguale. In questi casi la discriminazione diretta può essere

 giustificata solo da sicurezza pubblica, tutela dell'ordine pubblico, prevenzione dei reati, tutela della salute dei 

diritti e delle libertà (lo dice la Corte di giustizia. Si indebolisce il carattere assoluto del divieto); quella indiretta 

può essere giustificata da una finalità legittima. Le molestie (soprattutto quelle sessuali, si ha anche dalla 

direttiva comunitaria refusion del 2006) erano qualificate come lesioni della personalità morale del lavoratore e 

della lavoratrice e quindi si violava l'obbligo contrattuale del datore di lavoro della sicurezza, art 2087 cc. Alcuni 

giudici le hanno considerate come una discriminazione di genere e quindi come una giusta causa di dimissioni, 

2119 cc (“Recesso per giusta causa. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza 

del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, 

qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è 

a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede, per giusta causa compete l'indennità indicata nel 

secondo comma dell'articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento 

dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda”). Oggi la nozione comunitaria di 

molestie è: comportamenti indesiderati che violano la dignità delle persone in relazione ad un aspetto della loro 

identità. Il diritto interno si è adeguato a questa definizione con il codice delle pari opportunità del 2006. 

Questa discriminazione ha due differenze rispetto alle altre:
  1. la definizione: è una nozione sia soggettiva (ci deve essere lo scopo di ledere la dignità) che oggettiva
  2.  (deve essere l'effetto di un comportamento oggettivamente indesiderato). L'elemento soggettivo può anche non esserci e si ha comunque la molestia se è presente quello oggettivo (l'indesideratezza del comportamento);
  3. le molestie non richiedono comparazioni, a differenza delle altre discriminazioni.
Discriminazione di genere e tutela antidiscriminatoria.

La discriminazione per genere ha una disciplina separata (Carta dei diritti fondamentali art 23 e Cost

 italiana art 37); è un fattore multiplo, trasversale e plus factor. L'uguaglianza tra di genere ha si è realizzata 

completamente negli anni 60 circa (le donne hanno avuto il diritto di accedere alla magistratura nel 63). Prima la 

questione femminile era vista più come protezione che come uguaglianza. Si parte dal 1850 con la nascita delle 

fabbriche; prima del fascismo si è tolta l'autorizzazione maritale e avevano tante possibilità di impiego, anche 

pubblico; nel fascismo si torna indietro (non potevano insegnare storia, filosofia e economia nelle superiori) ma si 

aveva una protezione per le lavoratrici madri per l'interesse della sanità della razza. L'art 37 primo comma Cost 

dice che: “


La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le 

condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla 

madre e al bambino una speciale adeguata protezione.”. Si distingue la tutela della madre e la parità salariale. 

Per quanto riguarda la parità salariale si ha una copertura comunitaria nel trattato istitutivo del 1957 della CEE. 

Anche grazie ad una pronuncia della Corte di Cassazione si ha un mutamento di interpretazione dell'art 

37 Cost e si passa da una parità salariale per parità di rendimento a una parità salariale per parità di 

qualifiche (mansioni del medesimo livello professionale). Nel 1977 il Parlamento emana la legge di parità: 

divieto di discriminazione diretta o indiretta per questioni di sesso nell'accesso al lavoro. Ci sono delle eccezioni 

individuate dal diritto comunitario con una formula ampia mentre il nostro diritto interno le individua in modo rigido 

(derogabile dalla contrattazione collettiva in materia di lavori pesanti) come ad esempio le eccezioni che 

riguardano la moda, l'arte e lo spettacolo. Altre eccezioni stanno scomparendo come ad esempio il lavoro 

notturno e l'età di pensionamento, la corte di giustizia della UE condanna l'Italia per discriminazioni 

ingiustificate. Eliminando la discriminazione diretta e indiretta con le misure repressive non si garantisce una 

effettiva parità; lo Stato deve attuare azioni positive come ad esempio le quote (l'azione più forte) definite come 

“riserva a favore del genere in situazioni di svantaggio di un trattamento preferenziale nell'accesso al lavoro”. Si 

hanno riferimenti con il secondo comma dell'art 3 Cost, la legge 125 del 1991 e la legge del 2006. sulle quote 

intervengono sia la Corte di Giustizia europea e la Corte Costituzionale (quote rosa, per la materia elettorale) 

perché ci si chiedeva se erano legittime; la risposta è stata si se sono temporanee e proporzionate (Corte di 

Giustizia). La lotta contro le discriminazioni di genere usa:
le istituzioni: interviene anche il Jobs Act. L'istituzione principale a livello nazionale è il CNPO (Comitato
 nazionale parità e opportunità), che si trova presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; hacompiti propositivi (fa proposte), il suo potere di fare progetti di azioni positive (con i
 relativi finanziamenti) è stato dato ad una speciale Commissione. Con il Jobs Act si modifica la rete delle Consigliere o Consiglieri di parità, nominati dal Ministro del lavoro. Sono membri di diritto del CNPO 
e hanno oltre a compiti promozionali e propositivi il potere di svolgere inchieste indipendenti. Con il Jobs Act si riduce il loro margine di indipendenza e si peggiora il trattamento economico. I Consiglieri possono promuovere azioni in giudizio;
le azioni in giudizio: legge del 2006 modificata dal Jobs Act. Si ha una parziale inversione dell'onere della prova a carico del ricorrente, se riesce a fornire al giudice elementi, anche presi da dati statistici, di
 discriminazione (fumus di discriminazione) la prova che non sussistono sta al convenuto. Si può avere un ricorso individuale o un ricorso collettivo. Quello individuale può essere ordinario o di urgenza sul
 modello dell'art 28 Statuto dei lavoratori (“Repressione della condotta antisindacale. Qualora il datore di 
lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività
 sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali 
nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento 
denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora 
ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto 
motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli 
effetti. L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in 
funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo. Contro il 
decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, 
opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente 
esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. Il 
datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel 
giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale. L'autorità giudiziaria ordina la 
pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale”) e la
 lavoratrice può farsi appoggiare dai sindacati per avere il risarcimento dei danni anche non 
patrimoniali. L'azione collettiva può essere proposta dalla Consigliera e tutela interessi a agire diversi; le 
due azioni non sono sovrapponibili. In questo caso si può agire anche quando non siano individuabili i singoli lavoratori o lavoratrici lesi in modo immediato e diretto. L'azione in giudizio può essere preceduta dalla richiesta di fare un piano di rimozione delle discriminazioni accertate;
le sanzioni: in base alla Direttiva del 2006 Refusion devono essere proporzionate e adeguate a svolgere una funzione deterrente.

Tema della CONCILIAZIONE DEI TEMPI DI VITA E DI LAVORO

Tutela della maternità e divieto di discriminazione.

L'attuazione dell'art 37 della Cost primo comma è avvenuta con una serie di leggi a partire da quella della 1977
 (legge di parità) fino al Jobs Act (che prevede misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei 

tempi di vita e di lavoro). Il diritto interno non collegava la maternità alla discriminazione, le fonti comunitarie si, 

in particolare la Corte di Giustizia (gender plus: fattore di discriminazione delle donne feconde). Con la Direttiva 

Refusion e il codice delle pari opportunità (2006) anche l'Italia la riconosce come un fattore di discriminazione di 

genere.

La tutela delle lavoratrici madri.

Il testo di riferimento è il TU del 2001 modificato dal Jobs Act. Le misure di tutela sono estese anche alla madre 

affidataria o adottiva e al padre, e sono:
  1. congedo di maternità (prima chiamata astensione obbligatoria): due mesi prima al parto e tre mesi dopo. Si può optare per una diversa distribuzione. Si ha la sospensione del periodo post partum per il periodo di ricovero del bambino. Si deve comunicare lo stato di gravidanza all'INPS. L'indennità è dell'80% dello stipendio;
  2. divieto di licenziamento: dall'inizio del periodo della gravidanza fino al periodo post partum del congedo di maternità e fino al compimento di un anno di età del bambino;
  3. salute e sicurezza: dall'inizio della gravidanza fino a sette mesi dopo il parto non possono fare lavori faticosi, pericolosi e insalubri ma devono essere adibite ad altre mansioni, se la mansione è inferiore si ha il diritto alla retribuzione precedente. Se non si ha una mansione inferiore si sta a casa tutto il tempo;
  4. divieto di lavoro notturno: dall'inizio della gravidanza fino all'anno di età del bambino. Per le madri o i padri di un bambino di età inferiore ai tre anni non si ha il divieto ma il diritto di non lavorare, se si è un genitore single si ha diritto fino ai 12 anni o se il bambino è disabile.
Maternità e paternità: la disciplina dei permessi e dei congedi.
Queste misure sono estese anche al padre (in alternativa alla madre e a volte in proprio) e sono:
  1. riposi o permessi giornalieri e congedi per la malattia del figlio: prima era un diritto solo della madre perché era finalizzato all'allattamento; adesso sono finalizzato all'assistenza diretta del bambino e ciò fa si che il diritto si estende alle madri adottive, affidatarie e i padri. Può chiedere il congedo per assistere alla malattia del figlio sia la madre che il padre, alternativamente;
  2. congedi di paternità obbligatori e facoltativi: il padre ha l'obbligo di congedo per la durata di un giorno (obbligo proprio) e la facoltà del congedo di due giorni durante i primi 5 mesi dal parto, ci vuole il consenso della madre. Ha la retribuzione piena e questi due giorni vengono tolti al congedo obbligatorio della madre. Se la madre muore, o altre cause di impossibilità di adempiere alla cura del bambino, al suo all'obbligo di congedo subentra il padre (congedo di paternità).
Conciliazione tra vita professionale e vita familiare: il congedo parentale.

È un diritto proprio di ciascun genitore. È sancito dalla Carta dei diritti della UE nell'art 33. È il diritto di astenersi

 dal lavoro nei primi 12 anni di vita del bambino per un periodo complessivamente non superiore ai 10 mesi. I 10

 mesi diventano 3 anni se il bambino ha un handicap (legge 104). Interessante ma discutibile il fatto che la madre

 dopo il congedo di maternità per gli 11 mesi successivi e in alternativa al congedo parentale possa ricevere i 

voucher per i servizi di baby-sitting. Il valore è di 600 euro per 6 mesi. Resta la possibilità al padre di un 

massimo di 5 mesi di congedo senza indennità. Il congedo parentale dà una retribuzione pari al 30% della 

retribuzione piena.

Trattati ancora il tema delle molestie spesso confuse con il mobbing, le molestie ambientali, la questione 

dell'obbligo di sicurezza, la violazione della dignità della persone.


Tema molto attuale e normato recentemente quello delle dimissioni in bianco. Infatti, la norma del Jobs act impedisce alle aziende di praticare questa inaccettabile consuetudine: far firmare, al momento 

dell'assunzione, un foglio in bianco che sarà compilato con la data delle dimissioni quando il lavoratore

 o la lavoratrice non servono più. Un ricatto, dunque, che pesava sulla testa delle persone fin

 dall'assunzione. E che riguardava soprattutto le giovani donne, cacciate nel momento del matrimonio

 o della prima gravidanza.

Inquadrando internazionalmente la questione, il tema della discriminazione di genere deve essere recepito in un’ottica di tutela della dignità umana. Si parte dalla discriminazione di genere sul tema del lavoro e si arriva alla tutela della persona in nome dei principi di libertà uguaglianza e solidarietà, proclamati dalle dichiarazioni dei diritti del ‘700 (Stati Uniti e Francia) e del ‘900 ( Convenzione di Filadelfia-OIL, Dichiarazione ONU, Principi Fondamentali Costituzione italiana, CEDU- Consiglio d’Europa,Carta dei diritti U.E.)


Ulteriore passo avanti si è fatto con lo Statuto dei lavoratori del 1970 che è una specie di Carta dei


 diritti fondamentali e indisponibili garantiti a tutti i lavoratori, un grande traguardo.



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