LA
BALLATA DELLE DONNE
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e
pancia è cassa, che viene al finire,
che
arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è
questa terra, che io fui seminato,
vita
ho vissuto che dentro ho piantato,
qui
cerco il caldo che il cuore ci sente,
la
lunga notte che divento niente.
Femmina
penso, se penso l'umano
la
mia compagna, ti prendo per mano:
E.
Sanguineti
La LETTERATURA ITALIANA non può essere trascurata.
Nell'universo
letterario italiano la nostra riflessione può ruotare attorno a due
nuclei
- le letterate ed il posto che hanno ricoperto nella storia della letteratura del nostro paese: dalla Serao al premio Nobel Deledda, dalla Morante alla Ginzburg, dalla Aleramo a Dacia Maraini.
- La figura della donna nell'opera dei letterati e letterate italiani: dalla Beatrice dantesca a Lucia Mondello, dalla Marianna Ucria descrittaci da D. Maraini alla contemporanea, provocatoria ed interessante invenzione delle “personagge” voluta dal SIL, Società Italiana Letterate.
L'editoria
contemporanea per ragazzi e le eroine della saghe (es. Hunger
Games)
LAVORO PARTICOLARE SU SIBILLA ALERAMO E IL SUO "UNA DONNA"
La
letteratura greca:
LA COSA PIU' BELLA
(κάλλιστον)
Percorso:
ruolo e valore della figura femminile nella cultura letteraria greca
antica, in particolare nella poesia lirica (VII secolo a.C.) e nel
teatro tragico e comico (V secolo a.C.).
Contenuti:
La
lirica: Saffo.
Vita e opere; la lingua e lo stile. Lettura di alcuni testi, fra cui
Inno ad Afrodite, La cosa più bella, L'ode sublime, i "notturni".
Dai
testi emerge la voce della poetessa Saffo: nei suoi frammenti trova
espressione artistica un mondo di affetti, sentimenti, ideali e
abitudini di vita "al femminile".
Il
teatro Tragedia. I
grandi autori del teatro tragico ateniese del V secolo a.C hanno
spesso messo al centro delle loro opere straordinarie figure
femminili di grande spessore drammaturgico. Lo sguardo rivolto a
questi scrittori si soffermerà in particolare sulle opere in questo
senso più rilevanti. Eschilo:
il primo grande personaggio femminile (la regina Atossa nei
Persiani); Le supplici e Le coefore. Sofocle:
Antigone, Elettra e Le Trachinie. Euripide:
più di tutti gli altri autori, dà voce alle donne (Alcesti, Ecuba,
Elettra, Le Baccanti), mettendo addirittura in bocca a Medea il primo
grande discorso sulla questione di genere. Nei tragici i personaggi
femminili diventano il "mezzo" con cui gli autori
approfondiscono le tematiche politiche, morali, civili e culturali
che stanno loro a cuore, talora con un elevatissimogrado di
approfondimento psicologico; sulla scena tragica emergono alcune
figure diventate esemplari, quali Antigone (uno dei personaggi
letterari più riletti e risemantizzati nel corso dei secoli) o
Elettra, la matricida, Medea, l'assassina dei propri figli, figure
ancora oggi problematiche e
perturbanti.
Commedia
nuova: Aristofane.
"La fabbrica del comico" del grande autore ha prodotto
alcuni personaggi femminili di grande forza: Lisistrata ("colei
che scioglie gli eserciti"), Tesmoforiazuse e Ecclesiazuse (Le
donne in assemblea, con il bel personaggio di Prassagora, "colei
che parla in piazza"), grazie alle quali si contrappongono,
almeno sulla scena, il maschile ed il femminile.
ALCUNI LAVORI DEI RAGAZZI E RAGAZZE
LA
FIGURA DELL’ETERA
La città greca “rappresenta la realizzazione perfetta di un
progetto politico che esclude la donna” (Eva Cantarella).
L’esperienza giuridica ateniese è sempre stata e continua ad
essere considerata paradigmatica dell’esperienza giuridica greca
per due ragioni: la quantità dei documenti che consentono di
ricostruire la sua storia istituzionale e il predominio politico,
militare e culturale esercitato sul mondo greco. E’ per questo che,
parlando della donna, assumeremo Atene a modello esemplare.
Nell’Atene di Pericle la donna libera non differisce dagli schiavi
per quanto riguarda i diritti politici e giuridici. Come afferma
Claude Mossè “la donna ateniese ha lo stato giuridico di una
minorenne, ha bisogno per tutta la vita di un kyrios, di un
tutore”. Questi è rappresentato in genere dal padre o, in mancanza
di questi, da un parente prossimo di sesso maschile. E’ il tutore a
scegliere per la fanciulla il marito e a decidere per lei. Come
lamenta la Medea euripidea (vv. 230-51), la donna di buona condizione
sociale passava dalla “ segregazione” nella casa paterna a quella
nella casa dello sposo. Le donne potevano uscire di casa –
accompagnate da serve o da donne anziane, meglio se parenti del
marito – solo per partecipare ad alcune cerimonie di carattere
religioso. L’orazione Per Eufileto di Lisia ricorda, tra
queste, i funerali di congiunti e le Tesmoforie, le feste di Demetra,
riservate solo alle donne sposate. Una notizia secondo cui l’apparire
in scena delle Erinni (poi Eumenidi) nella tragedia eschilea avrebbe
provocato aborti di donne e svenimenti di bambini, ha fatto ritenere
che anche le donne potessero assistere alle rappresentazioni
teatrali, ma la questione è assai discussa. Nell’architettura
privata la separazione dei sessi era espressa dal fatto che si
allestivano appartamenti separati per uomini e donne. Queste di
solito abitavano le stanze più appartate. Se la casa era a due
piani, la moglie e le schiave vivevano in quello superiore. Famoso è
un passo dell’orazione pseudo-demostenica Contro Neera
(122), in cui si dice che l ‘uomo ateniese poteva avere tre donne:
“Abbiamo le etere per il piacere, le concubine per la soddisfazione
quotidiana del corpo, le mogli per darci figli legittimi e per avere
una custode fedele della casa”. Sebbene nell’età classica fosse
di regola la monogamia, poteva essere tollerata entro le pareti
domestiche la presenza di una concubina (παλλακη). Esse erano
schiave o ateniesi di estrazione modesta o straniere-libere. A
differenza della sposa, introdotta nella casa in seguito ad un
accordo tra le due famiglie, la concubina, invece, vi è introdotta
senza che alcun atto giuridico la leghi al suo compagno. Poiché la
sua presenza non era garantita da alcun impegno formale, ella poteva
essere congedata senza difficoltà. La concubina generava figli
liberi, ma non legittimi (γνησιοι). Quanto all’etera, non
era come una prostituta (πορνη) che svolgeva la sua attività
dietro compenso in case nel quartiere del Ceramico o al Pireo. Le
etere erano “le uniche donne veramente libere dell’Atene
classica” (C. Mossé), uscivano liberamente, partecipavano ai
banchetti con gli uomini, spesso erano mantenute da un uomo potente.
Erano donne colte e raffinate, frequentate dagli uomini per quelle
doti intellettuali di cui difettavano le spose legittime. Esse
avevano ricevuto un’educazione e possedevano talenti artistici,
soprattutto nella musica e nella danza.
La più famosa fra le etere
fu Aspasia di Mileto, che fu amata da Pericle. Il leader politico
ateniese ne ebbe un figlio, che riuscì a fare iscrivere nei registri
civici, nonostante la legge da lui stesso proposta, che riconosceva
la cittadinanza soltanto ai figli nati da genitori entrambi ateniesi
( 451 a.C.). Altrettanto famosa fu Frine, che fece da modella per
molte statue di Prassitele. L’aneddoto più noto che la riguarda è
quello del suo processo per empietà, in cui l’oratore Iperide, che
la difendeva, ottenne l’assoluzione della sua cliente denudandole i
seni. Anche nel
celebre quadro di Gérome si distinguono chiaramente sulla destra i
giudici, avvolti da una vistosa toga rossa, e sulla sinistra Frine in
un chiaro atteggiamento di vergogna dopo che Iperide, suo difensore
ed amante, le ha appena strappato gli abiti di dosso lasciandola
completamente senza veli davanti all’assemblea, un espediente
geniale, dato che le fattezze perfette e la pelle diafana, dalle
quali gli accusatori, prima propensi per la condanna, rimasero
letteralmente abbagliati, permisero infine alla ragazza di essere
assolta. Frine era in realtà il “nome d’arte” di Mnesarete,
una giovane che dopo un’infanzia difficile era riuscita, grazie
all’ indiscutibile avvenenza fisica e ad una certa dose di
scaltrezza, ad accumulare un ingente patrimonio grazie alla sua
attività di etéra di successo; ancora adolescente, era stata
modella ed amante del grande scultore Prassitele, che l’aveva
immortalata, nuda e statuaria, in molti suoi capolavori. Altra figura
rimasta celebre in questo ambito è Neera, (in greco antico: Νέαιρα;
IV secolo a.C. – IV secolo a.C.) che
è stata una etera vissuta nel IV secolo a.C. nell'antica Grecia. Non
ci sono dati certi circa le date esatte della nascita e della morte.
Fu portata in giudizio verso la metà del IV secolo a.C.,
probabilmente tra il 343 e il 340 a.C. Anche se le accuse presentate
contro Neera sono suscettibili di essere fortemente di parte e non
possono essere confermate in modo indipendente, il discorso fornisce
maggiori dettagli che su qualsiasi altra prostituta dell'antichità,
e di conseguenza cita una grande quantità di informazioni sul
commercio del sesso nelle città-stato (πολεις) della Grecia
antica. La prostituzione costituiva infatti parte della vita
quotidiana degli abitanti dell’Ελλας. Nei maggiori centri
urbani, ed in particolarmente nelle città portuali, quest'attività
occupava un numero significativo di persone, finendo col
rappresentare una parte importante dell'attività economica. Nella
stragrande maggioranza delle polis la prostituzione era ampiamente
legalizzata; il bordello era quindi un'istituzione a norma di legge
amministrata e regolata dal governo locale.
La donna
atleta
Nonostante il controverso rapporto tra
la civiltà greca e la figura della donna, anche nel mondo classico
le donne ebbero alcune possibilità espressive ,sebbene con notevoli
restrizioni: è il caso delle donne atlete.
L'attività fisica femminile era
considerata in alcune poleis necessaria, ma non aveva alcuno scopo di
nobilitazione della persona né formativo di spirito di competizione,
considerato assolutamente estraneo all'educazione femminile.
Forse fu per questo che nella prima
Olimpiade del 776 a.C. , svoltasi ad Olimpia e consistente in una
singola gara di corsa, non solo le donne non ebbero possibilità di
competere, ma non furono neppure ammesse ad assistere alle gare,
fuorché le sacerdotesse. Alcune fonti sembrano sostenere che questo
allontanamento delle donne dallo sport fosse anche causato dalla
nudità degli atleti, nudità che pone una fondamentale questione
sulle modalità in cui le donne potevano praticare sport: anche esse
si ungevano ed erano nude? La questione resta senza risposta, poiché
le fonti a noi giunte sono oscure e discordi: in un commento a
Teocrito si afferma che le ragazze corressero “dopo essersi unte
d'olio, come gli uomini, sulle rive dell'Eurota”, sebbene ciò
accadesse soltanto quando non erano esposte agli occhi degli uomini o
durante processioni rituali, mentre tutte le altre fonti, tra cui l'
“Andromaca” di Euripide, le appellino “mostra-cosce”
avvalorando l'ipotesi che corressero con un corto chitone dotato di
spacchi laterali che lasciava scoperti la spalla e il seno dal lato
destro, il cosiddetto “chitonisco scisso”. L'appellativo è, di
norma, attribuito alle donne spartane, poiché non tutte le poleis
concedevano la libertà di praticare attività ginniche alle donne, o
meglio si hanno notizie relative soltanto ad atlete di Sparta e di
Olimpia.
Lo sport era considerato diversamente
nelle due città, anche se furono principalmente le Spartane ad
essere considerate differenti dal resto del mondo classico; per
questo ritroviamo opinioni discordanti in ciò che concerne
l'istruzione e il ruolo della donna nella società: “La mancanza di
regole sul comportamento femminile è dannosa allo spirito della
costituzione e alla felicità della città. Allo stesso modo in cui
l'uomo e la donna sono parti essenziali della casa, così la polis
deve essere considerata come divisa tra la massa degli uomini e la
massa delle donne. Di conseguenza, in tutte le costituzioni dove la
condizione della donna non è ben definita, metà della polis deve
essere considerata senza leggi.” Così scrive Aristotele,
commentando la costituzione spartana, e aggiunge: “questo è
esattamente quello che è avvenuto a Sparta. Volendo regolare la vita
di tutta la città, il legislatore lo ha fatto per gli uomini, ma non
si è preoccupato delle donne. E così queste vivono nella
sregolatezza totale e nella mollezza.”
il filosofo non condivide affatto
questa visione, sottolineando quale sia, secondo lui, l'errore
commesso dalla politica spartana.
Tuttavia l'educazione e la formazione
delle donne non era qui affatto trascurata, come riportato da diversi
storici dell'antichità. Nella vita di Licurgo, ad esempio, Plutarco
informa che i dettami del legislatore non escludevano le ragazze,
prevedendo -invece- per esse gare di corsa (dròmos), di lotta
atletica (pàle), di lancio del disco e del giavellotto, che non
avevano solo lo scopo di far nascere figli più robusti, ma anche
quello di rafforzare le future madri, in modo che poi “bene e
facilmente gareggiassero contro i dolori del parto.”
Non è certo casuale che le fanciulle
spartane non si sposassero giovanissime, bensì all'apice del vigore
fisico, tanto da far parlare di esse come di “ragazzi mancati”,
l'educazione delle quali in gioventù, più che una preparazione al
matrimonio, era un calco dell'istruzione maschile, da adattare alla
generazione di prole.
La donna era dunque partecipe
dell'ideale eroico: se il coraggio dell'oplita si manifestava
pienamente in battaglia, quello della donna al momento del parto. La
gloria del soldato risplendeva quando cadeva combattendo per la
patria, quella della donna quando moriva partorendo un futuro oplita.
Secondo un autore antico, la legge spartana vietava di incidere sulle
tombe il nome dei defunti, contemplando due sole eccezioni: gli
uomini morti in guerra e le donne morte di parto.
A livello agonistico, tuttavia, le
corse delle giovani non avevano vincitrici, essendo mera dimostrazione di forza fisica e,
dunque, di essere pronte al matrimonio. La corsa rituale avveniva in
giochi esclusivamente femminili in onore di Elena, ricordata,
contrariamente a quanto si possa credere, come modello di sposa
perfetta.
Ad Olimpia, invece, le gare avvenivano
durante i giochi in onore di Hera e le ragazze erano divise in classi
secondo la loro vicinanza all'età matrimoniale, allo scopo di
compiere un percorso di formazione propedeutico al loro futuro ruolo
di spose e di madri.
Eppure, in quella sola occasione, anche
le donne gareggiavano per vincere, come afferma Eva Cantarella nel
suo libro “L'importante è vincere- Da Olimpia a Rio de Janeiro”:
“In via del tutto eccezionale, in quell'occasione non si pensava a
loro esclusivamente come allo strumento che consentiva la
riproduzione. Erano esseri umani, ciascuna con la propria
individualità e con il legittimo desiderio di veder riconosciute le
proprie capacità”.
Come si può notare, comunque le
competizioni femminili erano relegate ad occasioni particolari, la
loro esclusione dalle Olimpiadi era pressoché totale.
Non si può affermare la totale
estraneità della figura femminile dalle Olimpiadi perché si hanno
notizie di una vincitrice nella corsa delle bighe nel IV secolo a.C :
il nome di costei era Cinisca. Figlia di un re spartano, aveva una
vera passione per l'equitazione e possedeva una biga, che il fratello
fece gareggiare iscrivendola a nome della donna affinché vincesse e
potesse usare questo fatto per sminuire l'importanza di quella
competizione, umiliando gli altri partecipanti che erano stati
battuti da una donna, dimostrando quanto scarsamente la figura
femminile fosse considerata.
SAFFO
Saffo nacque tra
il 640 e il 630 a.C. da nobile famiglia a Ereso nella parte
occidentale dell’isola di Lesbo, ma visse a Mitilene; pur non
avendo una data precisa riguardo la morte della poetessa, gli
studiosi sostengono che sia vissuta fino a tarda età. Saffo dedicò
tutta la sua vita alla direzione del Tiaso probabilmente
allontanandosi da Mitilene solo intorno al 600 a.C. quando fu
costretta a esiliare in Sicilia per un breve periodo a causa di
dissidi politici che coinvolsero la sua famiglia.
Le notizie
biografiche riguardanti Saffo che ci sono pervenute sono assai scarse
e contribuiscono a creare intorno alla sua figura un alone
leggendario; ciò anche grazie alla tradizione che la vuole come
morta suicida –si sarebbe gettata dalla rupe di Leucade- a causa
dell’amore non corrisposto del giovane Faone. La maggior parte
delle informazioni relative soprattutto alla sfera delle persone a
lei più care sono ricavabili da alcune sue opere. È il caso dei
frammento 132V che ha per protagonista l’amata figlia della
poetessa.
fr.
132 Voigt
Ho
una bella bambina che assomiglia
A
un fiore d’oro, Cleide prediletta,
E
non la cambierei io con la Lidia
Intera
o con l’amata
Piuttosto recente
(2014) è la scoperta di due frammenti saffici che rappresentano un
ulteriore tassello al frammentato puzzle che costituisce la biografia
della poetessa. Si tratta di due carmi presenti in un papiro
proveniente da una collezione privata, studiati all’università di
Oxford da Dirk Obbink e attribuiti alla poetessa poiché composti
dalla tipica strofa saffica: Brothers Poem e Kypris Poem. La
particolarità di questi versi sta nella citazione dei nomi di quelli
che sono stati considerati dalla critica i fratelli della poetessa:
Carasso e Larico. Prima di questo importante ritrovamento, dei
fratelli della poetessa si conosceva ben poco: Larico era il più
giovane e Saffo andava fiera di lui dal momento che ricopriva il
compito di coppiere per i notabili di MItilene, di Carasso invece le
informazioni sono maggiori e legate soprattutto a fonti esterne.
Erodoto infatti su di lui scrisse che s’invaghì di Rodopi, un
prostituta di Naucrati per la quale compì follie che lo portarono a
mettere a dura prova la sua condizione economico-sociale sua e della
famiglia. Per questa vicenda Carasso fu duramente criticato da Saffo
nel frammento 5 V, nel quale la poetessa rimprovera in modo severo ma
finalizzato all’aiuto il fratello; ciò sottolinea l’aspetto
dolce a armonioso che caratterizza tutta la sua poetica.
Ma
tu non fai che ripetere che Carasso è arrivato
con la nave stracolma: è cosa, credo,
che sanno Zeus e tutti gli dèi, ma non a questo
tu devi pensare,
bensì a congedarmi e invitarmi a rivolgere
molte suppliche a Era sovrana perché
giunga fin qua portando in salvo
la sua nave Carasso
e sane e salve (o ‘sani e salvi’) ci trovi:
tutto il resto affidiamolo ai numi,
ché a grandi tempeste d’improvviso
succede il bel tempo.
Coloro a cui il sovrano d’Olimpo voglia
mandare un demone che infine li protegga
dalle traversie, quelli diventano felici
e molto prosperi.
Anche noi, se alzasse la testa Larico
e diventasse finalmente un vero uomo,
allora sì che saremmo subito liberate (o ‘liberati’)
da molte tristezze.
con la nave stracolma: è cosa, credo,
che sanno Zeus e tutti gli dèi, ma non a questo
tu devi pensare,
bensì a congedarmi e invitarmi a rivolgere
molte suppliche a Era sovrana perché
giunga fin qua portando in salvo
la sua nave Carasso
e sane e salve (o ‘sani e salvi’) ci trovi:
tutto il resto affidiamolo ai numi,
ché a grandi tempeste d’improvviso
succede il bel tempo.
Coloro a cui il sovrano d’Olimpo voglia
mandare un demone che infine li protegga
dalle traversie, quelli diventano felici
e molto prosperi.
Anche noi, se alzasse la testa Larico
e diventasse finalmente un vero uomo,
allora sì che saremmo subito liberate (o ‘liberati’)
da molte tristezze.
Il carme qui
riportato è il più completo tra i due e la sua importanza non è
riconducibile tanto al valore poetico quanto all’argomento trattato
che oltre a riassumere l’approccio di Saffo nei confronti delle
persone a lei care espone in modo chiaro le dinamiche sociali che si
instauravano tra i nobili e i comportamenti che derivavano da vicende
destinate a creare scandalo.
Questi versi
inoltre,pur chiarendo la questione su Carasso e Larico, ne sollevano
un’altra relativa al “noi” utilizzato al v 17. Il pronome
presupporrebbe infatti la presenza di una quarta persona oltre a
Carasso, Larico e Saffo, sulla questione gli studiosi si sono
schierati in due fazioni una che sostiene che la persona in questione
si il padre dei tre, l’altra convinta che si tratti del terzo
fratello della poetessa Erigo l’esistenza del quale è incerta.
Il
fulcro della vita di Saffo - come della sua attività poetica- è
l'ambiente del tiaso, che la poetessa dirigeva. Si tratta di
un'associazione culturale con finalità pedagogica consacrata alle
Muse e ad Afrodite in cui le ragazze entravano a far parte prima del
matrimonio, compiendovi un periodo di istruzione e di preparazione
alle nozze in un'atmosfera di grande
ἀβροσύνα
(leggiadria, eleganza,grazia) : le
ragazze apprendevano il canto, la musica, la danza, ma anche le armi
della seduzione, ovvero il modo di abbigliarsi e la grazia che le
avrebbe rese affascinanti. Fondamentale era anche l'amore di tipo
omoerotico, che si inseriva in un contesto educativo e formativo:
esso era infatti una tappa del percorso educativo che si compiva con
l'ingresso nel mondo degli adulti. L'eros omosessuale era socialmente
accettato solo nella misura in cui esso apparteneva all'iniziazione
giovanile alla vita, quando una fanciulla o un giovinetto non erano
ancora a pieno titolo entrati nella vita adulta.
A
Lesbo esistevano anche altri circoli femminili: le più pericolose
rivali di Saffo sembra fossero Gorgo e Andromeda. In un frammento
Saffo così rimprovera un'allieva che si è fatta ammiratrice di
Andromeda, direttrice del tiaso rivale, alla quale la poetessa oppone
la propria superiore raffinatezza:
" Quale zoticona ti strega la mente? Rustica veste
indossa, non sa drappeggiare la stola attorno alle caviglie".
Il tema centrale della
poesia di Saffo è l'amore. Il fr. 16 LP viene considerato il testo
'programmatico', il 'manifesto' di Saffo. Il carme si apre con una
rassegna: la poetessa annovera nella forma del Priamel le cose
che secondo il gusto comune sono le più belle, secondo alcuni un
esercito di cavalieri, secondo altri di fanti, secondo altri ancora
una flotta di navi, per Saffo, invece, la cosa più bella è la
persona che si ama. Il seguito del componimento non fa che precisare
l'affermazione: Elena, abbandonato lo sposo, i genitori e la figlia,
ti recò a Troia seguendo Paride, di cui era innamorata (Elena,
condannata da tutta la tradizione, viene così giustificata in nome
dell'amore). Così anche per Saffo rivedere la lontana Anattoria
sarebbe il bene più grande, non comparabile con tutta la ricchezza e
la potenza, pur proverbiali, dei lidi.
L'amore è spesso visto
come una malattia e turbamento sconvolgente dell'essere: così, per
esempio, nel Fr. 47 V. Saffo paragona la forza di Eros a quella del
vento che sui monti si abbatte sulle querce; nel Fr. 48 V., la
poetessa dà voce al suo desiderio amoroso nei confronti di una
ragazza del tiaso: "Sei venuta, io tidesideravo, hai
rinfrescato la mia anima che bruciava d'amore".Di particolare
efficacia l'antitesi tra l'immagine del fresco contenuta nell'aoristo
έψυξας e quella del fuoco evocata dal participio
καιομέναν.
A Saffo si deve anche la
caratterizzazione di Eros attraverso neologismi o attraverso termini
preesistenti ma riutilizzati in maniera del tutto originale: così il
composto ossimorico che definisce amore un essere 'dolce-amaro'
(γλυκύπικρον)
è originale , così come il nesso dell'aggettivo
αμαχος ( contro cui non c'è rimedio ) con Eros; il
composto λυσιμέλης ( che scioglie le membra ) è già
presente in Omero, ma in riferimento al sonno. Ancora, il verbo
δονέω, 'squassare',
'agitare' (così come τινασσω)
usato in Omero per designare l'azione devastatrice del vento,
viene applicato da Saffo, metaforicamente, all'equivalente effetto
dell'amore sull'impotente animo umano. In Saffo compare anche il tema
dell'amore come follia, pazzia, con l'utilizzo del verbo μαίνομαι,
'essere pazzo', 'impazzire'.
Saffo ha descritto anche
la 'sintomatologia' amorosa in un celebre frammento ( 31 v. )
trasmesso mutilo dell'anonimo autore de Il sublime e ripreso da
Catullo nel carme 51. La spinta ispiratrice dell'ode è facilmente
identificabile ed è piuttosto familiare al mondo del tiaso cui Saffo
si rivolge: si tratta infatti della partenza di una giovane che,
avendo concluso suo percorso formativo, intraprende la strada del
matrimonio e dell'amore etero-sessuale; si trovano quindi compresenti
la maestra che sta per salutare la sua allieva. la ragazza stessa, ed
il suo promesso sposo, Questi, definito 'pari agli dei' ad indicare
la forza o la bellezza dell'aspetto o lo stato di beatitudine propria
degli dei, siede di fronte alla donna amata da Saffo e la ascolta
mentre parla e ride dolcemente. Saffo enuncia le sensazioni che si
manifestano nel suo corpo a questa vista: un incontrollato
sbigottimento che le fa balzare il cuore nel petto, l'incapacità di
parlare ('la lingua si spezza'), una febbre bruciante, la vista viene
a meno, le orecchie ronzano, un sudore freddo si diffonde in tutto il
corpo, un tremore la possiede tutta, il suo colorito somiglia al
verde-giallo dell'erba. I sintomi sono elencati secondo una struttura
paratattica ad elenco e mediante una klimax ascendente il cui termine
conclusivo viene ad identificarsi con la morte ( "sembro a me
stessa poco lontana dall'essere morta").
Altra caratteristica
della comunità diretta da Saffo era la profonda religiosità: tutte
le attività erano svolte nel nome di Afrodite; frequenti nella
poesia saffica sono le epifania e le visioni oniriche, da alcuni
intese come pure allegorie o ornamenti letterari, da altri come reali
esperienze personali. Un esempio famoso è costituito dall'ode ad
Afrodite che apre la raccolta dei carmi di Saffo nell'edizione curata
dai grammatici alessandrini. L'occasione del canto è data da un
nuovo amore che fa soffrire Saffo: essa invoca la dea perchè la
liberi dagli affanni, come fece altre volte quando, con la sua
presenza, le placò l'angoscia e le porse aiuto, persuadendo al suo
amore la ragazza amata. L'ode è strutturata secondo il modello
dell'inno cletico, ossia di invocazione alla divinità, che prevedeva
certe componenti fisse, fra le quali essenziali erano una prima
invocazione al dio, con citazione della sua genealogia ed elenco dei
suoi epiteti tradizionali; una rievocazione delle sua imprese
principale ( aretalogia, ovvero elenco delle αρεταί)
e infine la richiesta vera e propria, che ripete spesso
l'invocazione ma specificandola con particolari più concreti.
Così,nell'ode di Saffo, troviamo vv. 1-5. l'invocazione ad Afrodite,
cui la poetessa chiede di non infierire nel suo animo tormentato ma
di venire in suo aiuto, La dea è invocata come Figlia di Zeus e con
alcuni epiteti: ποικιλόθρονος (= dal trono variopinto),
non attestato altrove, evoca l'immagine della dea seduta su un trono
policromo e intarsiato. simbolo della sua condizione divina; αθάνατα
(= immortale); δολόπλοκος (= tessitrice di inganni), che si
rifà alla componente dell'inganno come elemento fondamentale della
seduzione, nel senso molto concreto di 'trappola' ù, o 'rete' in cui
l'innamorato rimane preso: πόντια,
'signora' o 'padrona' , epiteto caratteristico di molte
divinità femminili. Vv. 5- 24. viene rievocato un precedente
intervento alla dea, accorsa ad un analoga invocazione da parte di
Saffo e pronta a 'condurre' al suo amore un'altra fanciulla. Nelle
parole che allora la dea rivolse a Saffo ( Chi, o Saffo, ti offende?
Infatti seti sfugge,ben presto ti
seguirà, se doni non accetta,anzi,te ne darà, se non ti ama, ben
presto ti amerà, anche se ella non vorrà) si ha l'enunciazione
della regola generale di reciprocità amorosa, proposta
all'apprendimento delle ragazze del tiaso: l' 'ingiustizia' di cui
Saffo è vittima è semplicemente la mancata corresponsione del suo
amore; secondo il concetto arcaico di δίκη come equilibrio e
contraccambio, ogni aore esige di essere ricambiato e chi non accetta
l'amore che gli viene offerto si rende colpevole di un'ingiustizia
nei confronti dell'innamorato respinto, per la quale verrà quindi
punito con una sorta di 'pena del contrappasso', che lo porterà a
rovesciare completamente il proprio comportamento.
Una suggestiva
descrizione degli elementi vegetali e naturali che incorniciavano la
cerimonia presso il recinto sacro di Afrodite
(τέμενος) e
le epifanie della dea, è conservato nel cosiddetto "ostrakon
fiorentino, un testo graffito su un frammento di terracotta
verosimilmente nel lll secolo a.C. scoperto in Egitto, pubblicato nel
1937 e ora conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. Si
tratta anche in questo caso di un invito ad Afrodite, perchè sia
presente in una cerimonia che si svolge in un boschetto a lei
consacrato. Vv. 1-4 La dea è invitata a lasciare la sua sede di
Creta per raggiungere il boschetto. vv. 5-11 La descrizione del
paesaggio è concentrata intorno a quelli che diverranno pen presto i
caratteri topici del locus amenus . Particolare la presenza di piante
sacre alla dea, quali meli e rose, entrambe collegate al culto di
Afrodite, e ovunque in Grecia simbolo della seduzione erotica. Vv.
13-16 Il carme si chiude con una invocazione ad Afrodite parchè
venga a partecipare alla festa e vi faccia da coppiera, mescendo il
vino nelle tazze d'oro.
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