domenica 12 marzo 2017

Il nostro progetto!






Il lavoro, che coinvolge noi ragazzi del Liceo “Marconi-Delpino”, riguarda l'uguaglianza di genere e il diritto alle pari opportunità, e parte dal fondamentale articolo 3 della nostra Carta Costituzionale, che al Comma 1 recita che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, tema ulteriormente arricchito dagli articoli 4, 29, 30, 31, 37, 48, 51. Questi sono stati punti di partenza per illustrare in classe la riflessione condivisa e costruire la tesina di approfondimento da noi qui proposta.

Abbiamo poi analizzato diversi ambiti in termini sociologici, culturali e statistici, per comprenderne le caratteristiche in rapporto ai diritti delle donne: lavorativo, scolastico, familiare. Si focalizzerà lo sguardo sulla situazione locale del nostro territorio, attraverso interviste e testimonianze di esperti e specialisti.
Attenzione si è data al problema del femminicidio, molto attuale nella cronaca italiana. Ma anche alla condizione delle donne migranti, in quanto portatrici di uno status giuridico particolare e complesso.
Inoltre fin dall'inizio, si è lavorato nelle singole discipline sulla storia delle donne, su biografie eccellenti, sul contributo esemplare dato dalle figure femminili in ambito scientifico, artistico, umanistico, religioso, musicale, sportivo, cinematografico.


Contenuto prioritario restano i principi fondamentali della Costituzione Italiana, l' art. 3 e tutti gli altri articoli sopraindicati. Attraverso le istituzioni italiane ed europee, e le espressioni della società civile che promuovono il rispetto della donna, la difesa dei diritti civili e sociali in tutti i contesti della vita reale, la dialettica costruttiva dell'ascolto, del confronto nel rapporto con l'altro.

domenica 5 marzo 2017

Gli approfondimenti delle nostre studentesse e dei nostri studenti


  Percorso letterario sulle mutilazioni femminili      di RIGOLLI SARA        

Il corpo femminile è stato, fin dai secoli più antichi, oggetto di desiderio e di contesa, considerato spesso come merce e non appartenente ad un individuo maturo, in grado di compiere scelte o di pensare. Per questo si diffuse la pratica delle mutilazioni genitali femminili, sperando di limitare le possibilità di scelta, privando la donna non solo delle libertà umane ma anche del possesso del proprio corpo. Se siamo propensi a concepire questa realtà come appartenente al passato, è assolutamente necessario ricordare che è ancora drammaticamente presente e attuale, su cui è necessario informarsi, anche tramite alcuni libri assai piacevoli nonostante l'importanza e la fatica dei temi trattati, adatti a fasce d'età diverse: per avvicinare e sensibilizzare i ragazzi si consiglia la lettura de “il gatto dagli occhi d'oro” di Silvana De Mari, edito da Fanucci nel 2009.

La storia tratta di “streghe” in un continuo rimando tra passato e presente, in un passaggio segnato dalla continua presenza di un gatto dagli occhi d'oro. Nel presente si seguono le vicende di Leila, una bambina appena trasferitasi in città dalla periferia, che inizia l'avventura delle Scuole Medie. Struggente e significativo il personaggio di Maryam, amica della protagonista che vive nello stesso degrado dal quale ella era fuggita, una bambina di 11-12 anni che ha appena subito l'infibulazione, la pratica di creare una cintura di castità alle ragazzine attraverso un “taglio” di parte dei genitali, in modo da privarle del piacere durante i rapporti e garantire allo sposo la verginità. Maryam ha però la forza di denunciare questa barbarie, grazie a Leila e alla sua nuova amica Fiamma, la cui madre è ginecologa ed esperta in mutilazioni genitali. Al termine del libro le ragazze espongono una ricerca sulle streghe, parlando del dolore di essere cacciate e accusate dal proprio popolo. Maryam parla del fenomeno dell'infibulazione nel mondo e del suo dolore, di come ormai lei sia una reietta per la sua società perché ha denunciato, si è sottoposta ad un “intervento riparatore”, combattendo per la sua dignità di donna, nonostante la giovane età.
Nonostante sia un fantasy e un romanzo, non presenti, dunque, le caratteristiche necessarie per un'affidabilità realistica, aiuta ad avvicinarsi al mondo delle violenze sul corpo femminile.
È dedicato ad una donna reale, Ayaan Hirsi Ali, nata in Somalia e sottoposta ad infibulazione, che fuggì in Olanda una volta riacquisita la coscienza di sé, qui entrò in Parlamento, battendosi per un'integrazione del mondo islamico nei canoni occidentali, accusando duramente l'estremismo e la cultura somala legata all'Islam più antico e conservatore.
La sua vita è narrata nell'autobiografia “Infedele” edita da Rizzoli nel 2008.

Nel complesso mondo islamico, la donna racconta la sua crescita, il percorso per prendere coscienza della sua individualità, il passaggio attraverso l'estremismo e dà largo spazio al ruolo dell'infibulazione nella sua vita, nella vita di tante ragazzine e bambine come lei, che considerano questa pratica “normale”, affatto violenta o lesiva dei loro diritti.
L'impopolarità di una “apostata” che denuncia le violenze a cui le donne islamiche sono sottoposte e la loro profonda passività.
La forza di questa donna fece paura ai somali, agli estremisti islamici, in particolare per il cortometraggio “Submission” in cui si mostra cosa subiscano le donne nei Paesi in cui si applica letteralmente la Shari'a, video girato con Theo Van Gogh che causò la morte violenta del regista, ucciso in strada da un attentatore.
La lettura dei due testi è stata per me foriera di riflessioni e di profondo turbamento, aprendomi all'informazione riguardo al mondo delle mutilazioni femminili, al punto di scoprire che tra Egitto ed Etiopia 50 milioni di ragazze e bambine hanno subito l'infibulazione, fenomeno non strettamente legato al mondo islamico: infatti, in Etiopia, hanno subito mutilazioni l'89% delle donne musulmane, il 67% delle cattoliche e il 69% tra quelle di altre confessioni cristiane. Secondo i dati ufficiali, in Europa nel 2012 c'erano circa 500mila donne e ragazze che convivevano con questa pratica e 180mila a rischio di subirla, in America circa 513mila in totale.
Oltre allo svilimento della persona, dell'individualità, della libertà di amare, l'infibulazione è causa di morte, in seguito ad infezioni dopo l'intervento e a complicazioni durante la gravidanza e il parto: di parla di oltre 70.000 decessi l'anno.
Ritengo questo fenomeno inaccettabile, non soltanto nei Paesi di origine delle bambine e ragazze, ma soprattutto nei Paesi Occidentali, dove la pratica è vietata e perseguibile penalmente (in Italia con reclusione dai 4 ai 12 anni e la perdita della patria podestà, secondo la legge del 9 febbraio 2006), eppure si pratica ancora con regolarità e, apparentemente senza che nessuno se ne accorga. È stata anche istituita una Giornata Mondiale contro le mutilazioni femminili, il 6 febbraio, ma quanti ne avevano sentito parlare? Quanti erano a conoscenza di questa pratica atroce? Ritengo fondamentale una maggiore sensibilizzazione, perché le bambine abbiano coscienza del proprio diritto a convivere serenamente con il proprio corpo, la propria sessualità e dell'estrema gioia e libertà nel dare la vita, senza che ciò comporti dolore, costrizione o rischio di morte, senza l'accettazione passiva di una tradizione antica e barbara.

DONNE DI OGGI NEL MONDO   di Alice Bo
Ma vi pare! Siamo quasi nel Duemila e qui praticano ancora l’infibulazione!” ”Cose da Medioevo.” Con questo scambio di battute si apre il quinto capitolo del libro “Ilaria Alpi la ragazza che voleva raccontare l’inferno” di Gigliola Alvisi. E’ comprensibile lo stupore della giornalista, una donna italiana vissuta in un’epoca felice dove le conquiste delle donne, il diritto all’istruzione, al lavoro, al voto, il diritto di scelta rappresentano, nella maggior parte dei casi, la normalità.


Di fronte a questo atto disumano, l’infibulazione, praticato in alcuni Paesi islamici per ricordare alle donne la loro inferiorità e la loro condizione di oggetto di proprietà prima del padre e poi del marito si rimane basiti e angosciati: fin dove arriva la crudeltà umana per considerare legittima la mutilazione di un proprio simile?
Riflettendo, spaziando nel tempo, verrebbe da pensare che sia sempre stato così: nel corso della storia le donne sono sempre state considerate inferiori agli uomini. Già dalla Creazione si narra che Eva sia stata generata da una costola di Adamo come se fosse solo un’appendice dell’uomo; la situazione non è poi cambiata nei secoli a venire, la donna infatti era considerata solo lo strumento che permetteva la riproduzione e perciò non era le era riconosciuto alcun diritto: né di essere istruita, né di partecipare alla vita pubblica, né tantomeno alle decisioni politiche. Forse non era dotata di cuore e cervello come l’uomo?
Solo la caparbietà di donne coraggiose e uomini intelligenti che insieme hanno lottato affinchè fosse “normale” quanto sino ad allora rappresentava un’utopia ha permesso almeno all’Occidente di vedere le donne protagoniste della storia insieme agli uomini. In quest’epoca è nata e cresciuta Ilaria Alpi, e seppur con fatica, è diventata interprete di questo modo di vivere. La sua professione di giornalista è diventata quindi un mezzo per denunciare le disuguaglianze dei nostri tempi.
Ecco perché ha sentito di dover lanciare un urlo di dolore e sgomento contro la violenza che l’uomo esercita verso la donna, quasi a voler evitare qualsiasi tipo di confronto che tra individui simili è giusto che ci sia per la crescita di entrambi. Nessuna prevaricazione deve essere riconosciuta legittima in uno Stato civile. Ma è proprio così anche da noi? Quante donne vengono uccise dal compagno perché decidono e pensano con la propria testa. E’ su questo che devono concentrarsi gli sforzi di tutti, non po’ essere considerato normale vivere nella paura di esprimere le proprie idee, i propri sentimenti se diversi da quelli degli altri. La storia di Jamila, la giovane protagonista del libro, è tanto diversa da quella di Ilaria? Entrambe sono state sopraffatte dal egoismo ma soprattutto dalla paura dell’uomo di sostenere un confronto paritario con loro. Jamila, dopo anni di soprusi è riuscita a ribellarsi, Ilaria Alpi invece a causa del suo lavoro di denuncia è stata assassinata barbaramente. Ci restano però i suoi scritti per poter ripartire e rendere migliore il nostro mondo. 


 Io, la musica, le donne e i loro diritti
di Guglielmo De Carlo


Mi chiamo Guglielmo, sono un ragazzo di 16 anni e tredici anni fa precisamente il 5 marzo del 2004 nacque la mia sorellina, Chiara. Creò così un forte squilibrio in famiglia: ora io e mio padre ci trovammo in chiaro svantaggio numerico rispetto le mie due sorelle e mia mamma, quel giorno le donne iniziarono a comandare in casa mia. Sono cresciuto con Andrea, il mio migliore amico vedendo le nostre sorelle che guardavano le Barbie, giocavano a “mamma e figlia” e dormivano con il pupazzo di Minnie, da bravi fratelli minori facemmo lo stesso. Pochi anni dopo mia nonna mi disse per prima che oramai ero grande e non avrei più potuto tenere il pupazzo di Minnie con me in quanto un gioco da “femmine”. La notizia mi fece moltissimo male ma allo stesso tempo ripudiai quel gioco convincendomi a vedere quell'oggetto come una cosa non per me, un qualcosa che non poteva piacermi quasi eretico. Iniziò finalmente la mia carriera “da maschio”: iniziai a fare pallanuoto, ad ascoltare rap, a tagliarmi i capelli corti da bravo bambino, come il resto dei miei compagni di scuola e iniziai a provar vergogna nel pianger davanti ad altri (e ancora oggi continuo a provarla). Pochi mesi fa ho ascoltato per la prima volta “Growing Up” una canzone di Macklemore, un cantante e produttore statunitense che seguo da molto tempo dedicata alla figlia appena nata che cita:
Dicono che i ragazzi non dovrebbero piangere mai e dicono che dovrei essere un uomo forte ma in realtà, ho molta paura. Dicono che le ragazze non dovrebbero essere dure e che le mamme dovrebbero stare a casa a crescere i bambini ma piccola, io so che non è vero perché tua mamma è la persona più forte che conosco, voglio crescerti come lei e vederti mostrare al mondo come tu ce la faccia da sola”

Questa società nella quale viviamo oggi, maschilista, misogena, razzista e omofoba ci sta rendendo tutti più uguali, ignoranti, passivi e soprattutto indifferenti nei confronti di ciò che ci circonda. Oggi si ha paura di dire ciò che davvero si pensa, indossare ciò che davvero vorremmo vestire, leggere ciò che ci piace e ascoltare la musica che amiamo temendo di non essere accettati, rispettati o semplicemente compresi.
Quando ero in terza elementare pensavo di essere gay perché ero bravo a disegnare e perché tenevo in ordine la mia cameretta. Un giorno lo dissi a mia madre mentre le lacrime mi rigavano il volto e mi rispose:”Ben, ami le ragazze sin dalla prima asilo” esultai”.
Macklemore- Same Love

Durante gli anni dell'asilo mia sorella Vittoria, più grande di me di due anni, aveva una cotta per un ragazzo di qualche anno più grande, si chiamava Filippo, se non sbaglio. Un pomeriggio tornò a casa disperata e raccontò che questo bambino la aveva derisa davanti ai suoi amichetti. Mio padre rimproverò me ma solo molti anni dopo ne capii il motivo: non avevo difeso mia sorella presa di mira da uno più forte di lei, non capivo proprio perché dovevo finirci in mezzo proprio io bambino Pacifico con la p maiuscola. Adesso lo capisco benissimo, in Italia sono circa sette milioni le donne che durante la loro vita hanno subito una forma di abuso, il 40% degli omosessuali in Italia dichiara di aver subito almeno un episodio di violenza per il suo orientamento sessuale e nel 2014 poco più del 50% degli 11-17enni ha subito qualche violenza fisica o psicologica. La verità è che purtroppo ancora oggi in Italia si ritiene forte un uomo capace di sottomettere altre persone e non un uomo capace di amarle e difenderle.
So che a loro piace maltrattarti, so che quando cammini per strada ti insultano ma per favore, non piangere, asciuga le lacrime dai tuoi occhi, perdona, ma non dimenticare, tieni sempre la testa alta piccola.”
2Pac-Keep ha head up

I diritti delle donne come quelli di un qualsiasi essere vivente vanno rispettati e anche, se possibile, amati.
Mi chiedo perché maltrattiamo le nostre donne, perché violentiamo le nostre donne, odiamo forse le nostre donne? Penso sia ora di difendere le donne, di guarire le donne, di rispettare le donne e se non lo faremo avremo una generazione di bambini che odieranno le loro madri”





Le conquiste delle donne                            di Leonardo CAGNI
La prima domenica di dicembre del 1881 fu un giorno memorabile nella storia italiana : Anna Maria Mozzoni e Paolina Schiff fondano la “Lega promotrice degli interessi femminili “ che aveva come obbiettivi prioritari il diritto al voto per le donne e la parità retributiva . La donna era considerata geneticamente inferiore all’uomo ed era relegata al ruolo di procreatrice. All’inizio del 900, nascono gruppi di donne che rivendicano il diritto al voto , il divorzio , un nuovo diritto di famiglia e, tra le operaie, la richiesta delle otto ore di lavoro. Furono le mondine, nel 1906, dopo anni di lotte a strappare nel vercellese la giornata di otto ore. Una grande vittoria, pagata duramente con scioperi, scontri, processi e condanne. Nel 1908, a New York, 120 operaie muoiono nell’incendio della fabbrica che stavano occupando per ottenere migliori condizioni di lavoro: questa data verrà ricordata ogni anno, in tutto il mondo, come la giornata internazionale per l’emancipazione femminile. Il suffragio alle donne, fu la battaglia che unì i movimenti femminili in tutto il mondo; in America le donne votarono per la prima volta nel 1919; in Inghilterra e Francia il movimento suffragista , tra le tante difficoltà, riuscì a portare al voto le donne nel 1918; in Italia bisognerà aspettare il 1946, con la fine del fascismo. Durante la prima guerra mondiale, con gli uomini al fronte, le donne dimostrano di essere in grado di gestire da sole l’economia del paese: furono impiegate in ogni settore e la manodopera femminile nelle fabbriche di armi raggiunse il 70% . Peccato che, finita la guerra, devono tornare a casa ad occuparsi dei figli. Ma fu il fascismo a togliere alla donna gran parte delle sue conquiste, tornando a relegarla nel ruolo di massaia e procreatrice di soldati per il duce. Mussolini emanò leggi contro il lavoro femminile: (1927) non possono essere nominate dirigenti nelle scuole, (1928) sono escluse dall’insegnamento nei licei, (1933) sono escluse dalle amministrazioni dello stato. Gli unici provvedimenti a favore furono le norme di tutela per le lavoratrici madri (1933). Dopo l’8 settembre, molte donne entrarono nella resistenza, manifestando una presa di coscienza politica, condividendola con i compagni maschi nelle formazioni partigiane. Un gruppo di donne, tra le quali Ada Godetti e Lina Merlin , fondano “I gruppi di difesa delle donne e per l’assistenza ai combattenti per la libertà”.
Il 2 giugno 1946 donne italiane esercitarono per la prima volta il diritto di voto, per il referendum istituzionale e per l’elezione dei membri dell’assemblea costituente, dove furono elette 21 donne pari al 4% del totale. Ma sarà la carta costituzionale a sancire la parità con l’uomo, a porre un punto fermo sui diritti conquistati dopo anni di lotte, di sofferenze e umiliazioni : art. 3 – tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso …art. 31 – la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione delle famiglie…protegge la maternità, l’infanzia la gioventù; art. 37 - la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire ..alla madre e al bambino adeguate protezioni; art. 48 – sono elettori uomini e donne; art. 51 – tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso, possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di uguaglianza. Le donne erano finalmente entrate a pieno titolo nella cittadinanza sociale e politica, non erano più solo madri , mogli o sorelle, ma potevano aspirare a ben altri orizzonti. La prima donna ministro fu Tina Anselmi, nel 1976. Le donne capirono presto che i loro problemi non sarebbero stati affrontati come tali. Il divorzio, la riforma del diritto di famiglia, l’aborto, divennero quindi il terreno di scontro per una politica di genere, e le donne, tenaci e combattive, non lasciarono i partiti, ma crearono al loro interno le sezioni femminili. L’organizzazione più diffusa sul territorio era l’UD. In questi anni (46-68) diverse furono le leggi che resero la donna pari all’uomo, almeno sulla carta. La più significativa fu la Legge Merlin (1958) che abolisce le case chiuse e regolamenta la prostituzione. Questa legge fu aspramente avversata dagli uomini, che vedevano i loro privilegi diminuire. La Merlin presentò la legge in nome dei diritti delle donne, denunciò la legge in vigore come “comodità del vizio” per gli uomini che volevano la donna schiava per i loro piaceri.
Un’altra legge fondamentale fu quella del 1963, che permise alle donne il libero accesso a tutte le professioni: dopo un secolo di discriminazioni le donne finalmente entrarono in Magistratura.
Il divorzio venne legalizzato nel 1970, nel 74 la democrazia cristiana propose di abrogarlo, ma nel referendum popolare il 59% degli italiani votò a favore. Nel 1971 la legge sulla maternità estese il congedo a cinque mesi, fu abrogata la legge fascista contro i contraccettivi e fu varata quella per l’istituzione degli asili nido. Nel 1975 furono istituiti consultori pubblici, una vera rivoluzione nel campo della salute della donna.
Nel 1975 si riscrive il diritto di famiglia che elimina tutte le disparità tra uomo e donna del vecchio codice. Uomo e donna hanno uguali diritti –doveri sulla prole, sul patrimonio e la donna non è più in alcun modo soggetta al marito. Permane l’unica discriminazione legata al cognome della donna sposata e dei figli che prendono quello dell’uomo. Ma la legge più sofferta fu quella nel 78, sull’aborto; si iniziò a parlarne nel 71. In Italia le donne abortivano illegalmente, spesso morivano nelle mani delle mammane, venivano denunciate e incriminate. Si parla di tre milioni di aborti all’anno, con circa 20 mila donne morte. Le femministe si mobilitarono a favore dell’aborto libero e gratuito, praticato nelle strutture pubbliche, lasciando la decisione alle sole donne. Nel 1981 si cercò di abrogare la legge, ma non vi riuscì, era chiaro che anche per gli elettori cattolici l’aborto clandestino non era più accettabile.
In questo trentennio la norma più significativa è la legge sulla violenza sessuale. Emanata nel ‘96 dopo venticinque anni di iter parlamentare, di dibattiti e di lotte delle donne. La legge subì diversi stalli e, solo nell’81, quando furono abrogate le norme che ammettevano l’attenuante dell’”onore” per i reati di violenza e omicidio contro le donne (e contro il matrimonio riparatore, grazie al quale lo stupratore poteva essere assolto se sposava la vittima,) la legge riprese l’iter parlamentare e fu votata nel 96. La legge sullo stalking (persecuzioni moleste ), approvata nel 2009, riconosce un problema sociale nuovo e pericoloso: la persecuzione e il controllo sulle donne attraverso atti quotidiani ossessivi quali le telefonate, i pedinamenti, le minacce anche di morte.

PRIMA DELLA LEGGE MERLIN  di Leonardo CAGNI
Un decreto del 1859, voluto dal conte di Cavour, autorizzava l’apertura di case controllate dallo Stato per l’esercizio della prostituzione in Lombardia. Nel febbraio del 1860 il decreto fu trasformato nella Legge “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione”. La Legge fissava le tariffe e altre norme, come la necessità di una licenza per aprire una casa e di pagare le tasse per i tenutari, controlli medici da effettuare alle prostitute per contenere le malattie veneree. Il testo definitivo della legge, approvato nel 1888, vietava inoltre l’apertura di case di tolleranza in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole e imponeva che le persiane dovessero restare sempre chiuse: di qui il nome di “case chiuse”.
Per tutti i primi anni del 1900 e durante il fascismo non si registrarono variazioni rilevanti nella legislazione sulla prostituzione se non una disposizione di Benito Mussolini degli anni ’30 che imponeva ai tenutari di isolare le case con muri detti “del pudore” alti almeno 10 metri. Si arrivò così al 20 settembre 1958, quando a seguito di un lungo dibattito nel Paese, venne introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione e si decise di chiudere le case di tolleranza con la cosiddetta Legge Merlin, dal nome della promotrice e prima firmataria, Angelina (Lina) Merlin del Partito Socialista.
La Legge Merlin – Il 6 agosto 1948 la senatrice Lina Merlin presentò il suo disegno di legge per chiudere la case di tolleranza e combattere lo sfruttamento della prostituzione. E' un'Italia, quella del 1948, ancora estremamente arretrata, dove le donne hanno da poco conquistato il diritto al voto e dove il ministro dell'interno Mario Scelba ha appena vietato l'uso del bikini nelle spiagge. Prese così il via, nelle aule di Camera e Senato, un lungo iter parlamentare che vide la sua conclusione solo nel 1958. Dieci anni per approvare una legge che ancora suscita opinioni controverse.
La Legge Merlin permetteva, inoltre, all’Italia di rispettare la
 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con la quale si era impegnata quando aveva aderito all’ONU. La Dichiarazione invitava infatti, fra l’altro, gli stati firmatari a porre in atto “la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”. All’epoca fra gli oppositori Indro Montanelli che nel 1956 aveva pubblicato un breve saggio polemico intitolato “Addio Wanda!” che, in certo senso, rispondeva al libro pubblicato l’anno precedente dalla giornalista Carla Voltolina, moglie del futuro presidente Sandro Pertini, e dalla stessa Lina Merlin, intitolato “Lettere dalle case chiuse”.
Dal 1958 ad oggi, il tema della prostituzione continua a rimanere al centro del dibattito politico e innumerevoli sono state le proposte di variazione e di revisione della Legge 75/58, meglio nota come la Legge Merlin.
A Lina Merlin, la prima donna a essere eletta al Senato, va anche il merito dell’abolizione della dicitura «Figlio di N.N.» usato sugli atti anagrafici di coloro il cui padre era ignoto o non aveva provveduto al riconoscimento legale della paternità (Legge 31 ottobre 1955, n.1064), l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, l’abolizione della «clausola di nubilato» nei contratti di lavoro, che sanciva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano (Legge 9 gennaio 1963, n.7).
LE SPOSE BAMBINE      DI SARA CUPELLO

LA FIGURA DELLA DONNA:
La giornata internazionale delle donne, che si festeggia ogni anno l’8 marzo, è stata istituita per ricordare da un lato le conquiste politiche, sociali ed economiche delle donne, dall’altro le discriminazioni e le violenze da loro subite nella nostra storia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si è fatto per molto tempo risalire la scelta dell’8 marzo ad una tragedia accaduta nel 1908, che avrebbe visto come protagoniste le operaie dell’industria tessile Cotton di New York, rimaste uccise da un incendio. In realtà questo fatto non è mai accaduto, e probabilmente è stato confuso con l’incendio di un’altra fabbrica tessile della città, avvenuto nel 1911, dove morirono 146 persone fra cui molte donne. I fatti che hanno realmente portato all’istituzione di questa festa sono di diverso tipo, più legati alla rivendicazione dei diritti delle donne, tra i quali il diritto di voto.
In Italia quest’anno è stato proclamato , in occasione dell’8 marzo, uno sciopero globale per la violenza contro ogni genere, in quella che con lo slogan “Lotto marzo” si caratterizza come una tra le feste della donna più politiche degli ultimi anni. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dedicato il proprio discorso sull'8 Marzo alla pace, sottolineando quanti "ostacoli, incomprensioni e pregiudizi" le donne debbano ancora affrontare e per lui “promuovere e difendere le donne, i loro diritti, la loro tutela, il loro lavoro, il loro inserimento nei processi decisionali significa aprire, concretamente, prospettive di pace”.
Nonostante ci siano stati molti cambiamenti, ancora oggi nel mondo le donne subiscono molte violenze fin dalla tenera età. Un esempio molto rilevante è il fenomeno delle spose bambine; infatti i dati dell’ONU, Save the Children in occasione della giornata mondiale, in difesa delle donne, hanno affermato che nel mondo 700 milioni di bambine sono costrette a sposarsi in età minorile. Guerre, conflitti locali e catastrofi naturali incentivano i matrimoni forzati e sono 44 milioni le ragazzine al di sotto dei 14 anni che hanno subito mutilazioni genitali. Hanno dovuto spesso affrontare gravidanze precoci e a causa di quest’ultime, molte di loro hanno un’elevata probabilità di morire durante il parto e la gestazione. Le complicazioni durante la gravidanza e il parto, dopo i suicidi, sono la seconda causa di morte tra le ragazze. Inoltre un bambino che nasce da una madre minorenne rischia maggiormente di morire in età superiore a diciannove anni, anche nel caso sopravviva, sono molto più alte le possibilità che possa soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici. Per quanto riguarda la mancata istruzione, le donne rappresentano la metà della popolazione nel mondo, proprio perché, come affermato dal direttore generale di Save The Children International, le bambine e le ragazze che si sposano troppo presto sono spesso costrette ad abbandonare la scuola. Si sottolinea che l’India è il Paese con il più alto numero di spose bambine, questi matrimoni sono di solito organizzati dai membri della famiglia; le conseguenze fisiche ed emotive possono essere dirompenti, anche mortali. L’aspetto più allarmante dei matrimoni infantili è che la maggior parte delle bambine non vogliono sposarsi, vogliono una vita normale, giocare con i loro amici, ricevere un’educazione completa e avere una piena adolescenza. Questi matrimoni non sono dannosi soltanto per le bambine coinvolte ma sono alla radice di tanti mali sociali: la povertà, le malattie, la mortalità materna e infantile, la violenza contro le donne. Per cercare di risolvere almeno in parte questo fenomeno, l’istruzione è ancora la difesa migliore, il che significa mantenere i figli a scuola il più lungo possibile, così come educare le comunità sull’impatto nocivo del matrimonio precoce sulla salute delle loro ragazze, le loro nipoti e le loro società nel complesso. Non vi è solo la necessità di azione di sensibilizzazione ma si deve trovare anche il modo di aiutare le ragazze che sono già state costrette in questi matrimoni, attraverso incentivi finanziari a le loro famiglie per far loro proseguire gli studi o tramite corsi di formazione in modo che possano avere una maggiore voce in capitolo nella propria vita e in quelle delle loro famiglie. Purtroppo non vi è alcuna soluzione rapida, ma sembra che ci sia un crescente movimento mirato a porre fine al matrimonio precoce.


Donne di sana e robusta costituzione - di Rosetta Gaggero e Elena Vinciguerra

"Donne, attenzione: dovete stare dentro casa a qualsiasi ora e giorno. Non è decoroso per una donna vagare oziosamente per le strade. Se uscite, dovete essere accompagnate da un mahram, un parente di sesso maschile. La donna che verrà sorpresa da sola per la strada sarà bastonata e rispedita a casa. Non dovete mostrare il volto in nessuna circostanza. Quando uscite, dovete indossare il burka. Altrimenti verrete duramente percosse. Sono proibiti i cosmetici. Sono proibiti i gioielli. Non dovete indossare abiti attraenti. Non dovete parlare se non per rispondere. Non dovete guardare negli occhi gli uomini. Non dovete ridere in pubblico. In caso contrario, verrete bastonate." (Mille splendidi soli, Khaled Hosseini)
"Rimasti soli, si limitò dapprima a rimproverarmi la mia leggerezza, la smania nuovissima venutami quell'anno di frequentar gente, di mostrarmi elegante e brillante. Per essere tranquilli in paese non bisognava uscire dal proprio guscio!" (Una donna, Sibilla Aleramo)
Due società completamente differenti, sia in termini di spazio che di tempo; due realtà in cui il destino della donna è già stato scritto dalla nascita. Due storie di donne che, in quanto esseri umani, hanno il pieno diritto di avere e inseguire dei sogni, a cui però, affacciandosi alla vita, sono tenute a rinunciare. Infatti, in opposizione alle loro aspirazioni, esse vanno incontro a tre principali costrizioni, che abbiamo enucleato di seguito.
La prima è la rinuncia all'individualità. La donna molto spesso ne è perfettamente cosciente, ma non può fare nulla per contrastarla: "Nei sentimenti contrari che mi combattevano, io sentivo naufragare la mia volontà, la mia persona, tutto quello che avevo creduto di essere e a cui rinunciavo desolatamente"; "Perché, alla sera, attendendo d'esser raggiunta da mio marito nel letto che tante miserie ricordava , e allontanandone con il pensiero il giungere sentivo nel mio sangue penetrare la persuasione d'un diritto mai soddisfatto, e con essa un impeto formidabile di conquista, lo spasimo di raggiungere, di conoscere quella gioia dei sensi che fa nobile e bella la materia umana". D'altro canto per l'uomo ciò è normale, scontato: “ Incapace di ogni indagine, mio marito era soddisfatto della mia tranquillità esteriore, della trasformazione evidente del mio carattere, sempre più remissivo".

La seconda è la sopportazione. Infatti, una pazienza senza limiti è un requisito fondamentale non solo per adempiere al ruolo di moglie, ma anche solo per sopravvivere. "Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice nel mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al cielo si raccoglievano a formare le nubi, e poi si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente «A ricordo di come soffrono le donne come noi» aveva detto.« Di come sopportiamo in silenzio tutto ciò che ci cade addosso». In un ambiente come quello di Mariam, dove uno dei pericoli maggiori, se non il principale, è proprio il marito, la donna non ha né il diritto né la possibilità di difendersi. Inoltre, l'uomo ha sempre ragione, in ogni circostanza: "Imparalo adesso e imparalo bene, figlia mia. Come l'ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna a cui dare la colpa. Sempre. Ricordalo, Mariam." Eppure, anche in un luogo del tutto diverso, all'inizio del '900, la donna ideale "rappresentava il sacrifizio attivo e semplice, incurante di ogni critica esteriore, pago d'una salda speranza ultraterrena".  
Infine, la terza consiste nel duplice dovere, al quale la donna è costretta a sottostare, di diventare un vero e proprio oggetto (nel caso di Mariam, quasi un "elettrodomestico", da cui non ci si aspetta altro che funzioni come si deve: Puliva la casa, badava che avesse sempre una riserva di camicie fresche di bucato, cucinava i suoi piatti preferiti) e ad assumere la funzione di “utero”, nel senso di mera genitrice. Qualora ella non rispetti ciò, le conseguenze su di lei saranno pesanti e si tradurranno in una serie di violenze, psicologiche e fisiche: Dal giorno stesso dell’hamam, Rashid era cambiato. Quando tornava a casa la sera, quasi non le rivolgeva la parola. Mangiava, fumava, andava a letto, a volte nel cuore della notte, a volte nel cuore della notte tornava da lei per un accoppiamento breve e, negli ultimi tempi, piuttosto brutale. In quel periodo le teneva spesso il broncio, trovava da ridire su come cucinava, si lamentava del disordine in cortile o le faceva notare anche la minima sporcizia che scopriva in casa. A volte, il venerdì la portava in città, come faceva un tempo, ma camminava in fretta e sempre qualche passo davanti a lei, senza parlare, incurante che lei dovesse quasi correre per stargli al passo. All'inizio sono piccoli gesti, ma, accumulandosi con l’andare del tempo, culmineranno in un delirante gesto di Rashid, marito di Mariam, che le farà ingerire e masticare delle pietre, come punizione della sua mancata maternità. Quest’ultimo aspetto dell’essere madre, tuttavia, non deve essere vissuto come una delle tante rinunce che appartengono alla donna e, nel caso ciò avvenga, tale meccanismo pericoloso deve cessare, per amor proprio ma soprattutto nei confronti dei bambini stessi. (Per quello che siamo, per la volontà di tramandare più nobile e bella in essi la vita, devono esserci grati i figli, non perché, dopo averli ciecamente suscitati dal nulla, rinunziamo all’essere noi stesse). Sibilla Aleramo lo esplicita in un’accorata e puntuale riflessione: “Perché nella maternità adoriamo il sacrifizio? Donde è scesa a noi questainumana idea dell’immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli si tramanda il servaggio. E’ una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un certo punto nella vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene chi ci generò; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato adeguatamente l’olocausto della persona diletta. Allora riversiamo sui figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e offrendo un nuovo esempio di mortificazione, di annientamento. Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e la madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità?
La differenza sostanziale fra i due libri presi in esame è il fatto che in Mille splendidi soli manchi l'emancipazione intellettuale della donna: “«Se la ragazza vuole studiare, lasciala, mia cara. Lascia che vada a scuola» «Studiare? Cosa c'è da imparare? (...) Che senso ha dare un'istruzione a una ragazza come te? Sarebbe come lustrare una sputacchiera. E poi, in quelle scuole non imparerai niente di utile. C'è una sola abilità che serve a donne come te e come me e di certo non te la insegnano a scuola. (...) Il tahamul. La sopportazione»”. A Mariam vengono quindi negati il diritto e la possibilità di studiare, nonostante lei desideri andare a scuola; la società in cui vive, inoltre, non le permette né di opporsi né, tanto meno, di ribellarsi a una tale privazione. Il percorso di Sibilla Aleramo, invece, è totalmente diverso proprio perché diverso è l'ambiente in cui vive (“Seguì un intenso, strano periodo, durante il quale non vissi che di letture, di meditazioni e dell'amore di mio figlio”). Ella riesce a riscattarsi e a prevalere sul marito – pur con alcuni sacrifici – grazie alla sua intelligenza, alla sua determinazione e ai sempre più numerosi libri che continua a leggere, tanto che l'uomo appare man mano sempre più misero e povero d'intelletto. “Ed ecco che infine penetrava in me il senso di un'esistenza più ampia, il mio problema interiore diveniva meno oscuro, s'illuminava dal riflesso di altri problemi più vasti, mentre mi giungeva l'eco dei palpiti e delle aspirazioni di altri uomini. Mercé i libri io non ero più sola, ero un essere che intendeva ed assentiva e collaborava ad uno sforzo collettivo. Sentivo che questa umanità soffriva per la propria ignoranza”.
Questo difficile percorso che Sibilla intraprende la porta a diventare molto più simile al suo modello di donna di quanto non sia mai stata, oltre che a scrivere per lavoro, una delle sue aspirazioni. “Alfine mi riconquistavo,
alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello. (...) Alfine risentivo il sapore della vita”, scrive, assumendo piena consapevolezza del suo cambiamento e dimostrando una grande soddisfazione della riconquista effettuata, del raggiungimento di ciò che da sempre avrebbe dovuto essere suo per diritto.
Come può un uomo che abbia avuto una buona madre divenir crudele verso i deboli, sleale verso una donna a cui dà il suo amore, tiranno verso i figli? Ma la buona madre non deve essere, come la mia, una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana. E come può diventare una donna se i parenti la dànno, ignara, debole, incompleta, a un uomo che non la riceve come sua eguale; ne usa come d'un oggetto di proprietà; le dà dei figli coi quali l'abbandona sola, mentr'egli compie i suoi doveri sociali, affinché continui a baloccarsi come nell'infanzia?




LE DONNE MUSULMANE IN ITALIA.   di Bruno Henriquet

Spesso, in Italia, le donne musulmane vivono in uno stato di abbandono. In molti casi viene loro sottratto il permesso di soggiorno dal marito, gli viene impedito di imparare l'italiano e rimangono rinchiuse nel loro isolamento, fisico ma anche culturale perché non conoscono i diritti che avrebbero nel nostro paese. Molte sono tenute segregate in casa in nome della religione islamica quando in realtà non sono precetti religiosi che impediscono la loro vita normale ma solo chiusure mentali. Le donne, mogli e figlie devono stare sotto l'autorità dell'uomo e se non ubbidiscono vengono picchiate, maltrattate, violentate e isolate.

Perché, nei paesi di origine si vive meglio che in Italia?
In Marocco, ad esempio, le donne sono assolutamente autonome, ricoprono incarichi politici, escono, ballano, si truccano. Poi arrivano qui e dopo poco la vita cambia perché i mariti cominciano a frequentare le comunità e alcuni imam incitano all'estremismo a difendersi dalle abitudini dell'Occidente. Così i mariti cambiano e cominciano a difendere il loro territorio a partire dalle donne. Impongono il velo che non ha niente di religioso, impediscono alle donne di uscire da sole, di rivolgere la parola ai vicini, di andare all'ospedale se non in presenza di un uomo di casa, di fare qualunque cosa da sole.
I moderati sono coloro che vogliono che uomini e donne abbiano gli stessi diritti e siano tutelati dalla Costituzione italiana. Gli estremisti sono tantissimi nel nostro paese e sono quelli che invece non vogliono l'integrazione perché è così che si tiene coesa la comunità. Si è più forti come comunità se ci si difende da qualcosa e loro si difendono dai costumi occidentali.

Che cosa si nasconde dietro il termine multiculturalismo?
C'è molta indifferenza dietro questo termine che tutto permette e giustifica, ci si nasconde dietro il fatto che vogliamo rispettare la cultura del diverso, per lasciare correr e diventare complici delle violenze. Perché chi non condanna è complice. Basta con questo relativismo culturale, dobbiamo smettere di tollerare e cominciare ad espellere. Chi pratica la poligamia che è vietata, chi fa violenza sulle donne, chi da le figlie spose bambine, chi le tiene segregate in casa, chi istiga alla violenza e chi non permette la libertà religiosa.


L’istruzione femminile in Italia: la conquista di un diritto fondamentale per l’affermarsi della donna all’interno della società

di Martina Formentini 


Prendendo come estremo temporale i primi anni della seconda metà del ‘800, periodo in cui nasce formalmente lo Stato italiano, si possono ripercorrere le principali e più significative situazioni relative al rapporto tra il genere femminile e l’istruzione. La conquista oggigiorno scontata del diritto allo studio è in realtà frutto di un lungo processo di recente compimento nella nostra società, ma di grande importanza dati i numerosi e vari riscontri che ha in moltissimi ambiti.
In un clima politico vivace e movimentato, si assiste in questo periodo in Italia a una tendenza sociale conservatrice che si riflette anche sulla questione dell’istruzione: si era soliti infatti identificare lo studio come attività riservata agli uomini, mentre alle donne si associava solamente il ruolo di moglie. La donna doveva quindi essere educata ma non istruita e la sua educazione doveva essere relativa all’uomo che durante tutta la vita, aveva potere decisionale su ogni questione che la riguardava. I tentativi di rivolta a questa condizione sono rari e associabili a quelle che sono state definite donne innovatrici; ciò è dovuto soprattutto al fatto che la convenzione sociale che identificava la donna come individuo totalmente succube era talmente radicata da non rendere possibile l’instaurarsi di situazioni diverse da quelle descritte. La totale sottomissione alla figura maschile inoltre, e lo sfondo esclusivamente domestico in cui si muove la donna, riflettono la condizione settecentesca che voleva quest’ultima come la perfetta moglie e madre descritta per esempio nei libri di Jane Austen, che propongono figure femminili all’apparenza frivole e incapaci di avere altra aspirazione nella vita se non quella di accasarsi e sposare l’uomo migliore relativamente al rango sociale d’appartenenza.
Il binomio madre e moglie permane associato al ruolo sociale della donna durante tutto il periodo fascista dove era comune accostare all’uomo istruito, colto e politicamente attivo, una figura femminile che lo supportasse. È propria del periodo fascista la tendenza a pareggiare e omologare la società, ciò comporta la nascita di stereotipi, ancora radicati nel nostro tempo, che intervengono direttamente nel delicato ambiente della formazione infantile. Compaiono infatti in questo periodo manuali e libri per l’infanzia che rappresentano graficamente la donna come una casalinga, una mamma, una principessa, o nei casi migliori come una maestra di asilo. È bene osservare come il proporre questo tipo di immagini all’ingenuità delle bambine, le spinga a non allargare i propri orizzonti e le proprie aspettative ma ad aspirare al compimento di una vita che le veda come personaggi secondari e passivi.
Femminismo!” esclamava ella. “organizzazione di operaie, legislazione del lavoro, emancipazione legale, divorzio, voto amministrativo e politico … tutto questo, sì, è un compito immenso, eppure non è che la superficie: bisogna riformare la coscienza dell’uomo, creare quella della donna!” E la buona vecchia la cui energia contrastava vittoriosamente colla gravezza penosa della persona, mi portava con lei a vedere le sue opere nuove o rinnovate. “Agire! Questa è la vera propaganda!”. Con queste parole Sibilla Aleramo descrive la situazione italiana nella seconda metà del ‘900 che vede al centro della scena, l’affermarsi della seconda ondata delle rivolte femministe in età contemporanea. I movimenti femministi di questo periodo sono numerosi e promuovono sostanzialmente gli stessi ideali che decenni prima avevano caratterizzato il pensiero di quelle poche donne innovatrici le quali, nonostante il grandissimo impegno profuso, a causa del loro numero ridotto non avevano ottenuto nessun risultato. Al contrario la rivoluzione femminista di questo periodo è forte e radicata e ottiene importanti conquiste in merito ai diritti delle donne. Nell’ ambito dell’istruzione questi movimenti risultano incisivi dal momento che si sviluppano parallelamente ai moti di rivoluzione studentesca e per questo motivo, ottengono importanti risultati riuscendo finalmente a uguagliare il livello d’istruzione maschile e femminile.
Attualmente la situazione italiana ha raggiunto, dopo un lungo e travagliato percorso, una situazione di sostanziale parità tra i generi in ambito scolastico. Si può osservare come oggigiorno, secondo dati nazionali, il numero di ragazze in tutto il sistema scolastico superi per frequenza, risultati e regolarità quello dei ragazzi.
Solo a posteriori e con la consapevolezza che, nonostante l’equilibrio raggiunto, sono ancora molti i pregiudizi soprattutto di tipo sociale e culturale che ostacolano la carriera scolastica e di formazione delle donne, si può esporre una riflessione sull’importanza delle studio e sulle ripercussioni che può avere anche in svariate situazioni anche di disagio . L’istruzione infatti consente a ognuno di formare la propria personalità e il proprio pensiero, strumenti necessari per poter vivere in una società in modo attivo e pienamente coscienti della propria condizione e di conseguenza dei disagi da cui si è afflitti. Malala Yousafzai, la giovanissima premio Nobel per la pace e paladina dei diritti delle donne musulmane, durante un intervento all’ONU disse così in merito a ciò:” Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne, sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un’insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”.
Il messaggio forte contenuto in queste parole spero possa essere d’ispirazione concreta per tutte quelle realtà del mondo nelle quali, soprattutto a causa delle condizioni di povertà o delle radicate tradizioni religiose, è marcato il divario tra uomini e donne a cominciare dal diritto all’istruzione, che come si è visto è fondamentale per l’affermarsi nella società di categorie costrette a condizioni d’inferiorità.



Lavoro di Giorgia Moretti

WOMAN IS THE NIGGER OF THE WORLD , John Lennon

rit.
La donna è la negra del mondo
Sì lo è… pensaci
La donna è la negra del mondo
Pensaci… fa’ qualcosa in proposito

La costringiamo a dipingersi la faccia e a ballare
Se non vuole essere una schiava, le diciamo che non ci ama
Se è vera, le diciamo che cerca di essere un uomo (1)
Mentre la umiliamo, fingiamo che ci si sia superiore

rit. La donna è la negra del mondo… sì lo è
Se non mi credi, dà un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli schiavi
Ah, sì… meglio che tu lo gridi forte

La costringiamo a portare in grembo e allevare i nostri figli
E poi la lasciamo avvilita perché è diventata una femmina vecchia e grassa
Le diciamo che a casa è l’unico posto dove deve stare
E poi ci lamentiamo che è troppo ingenua per esserci amica

rit. La donna è la negra del mondo… sì lo è
Se non mi credi, dà un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli schiavi (2)
Sì… va bene… pensaci!

La insultiamo tutti i giorni in TV
E ci meravigliamo perché non ha coraggio o fiducia
Quando è giovane uccidiamo la sua voglia di essere libera
Mentre le diciamo di non essere così brillante
La disprezziamo per essere così stupida

rit. La donna è la negra del mondo
Sì lo è… se non mi credi
Dà un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli schiavi
Sì lo è… se mi credi, è meglio che tu lo grida forte

La costringiamo a dipingersi la faccia e a ballare (x6)


(1) Frida Kahlo (1907-1954) è il simbolo dell'avanguardia artistica e dell'esuberanza della cultura messicana del Novecento. Icona indiscussa della cultura messicana novecentesca, è considerata l'anticipatrice del movimento femminista. 
La sua arte si fonde con la storia e lo spirito del mondo a lei contemporaneo, riflettendo le trasformazioni sociali e culturali soprattutto in ambito femminile; come, infatti, raccontava suo marito Diego Rivera
"La prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta e inesorabile schiettezza, in modo spietato ma al contempo pacato, quei temi generali e particolari che riguardano esclusivamente le donne". 
Si tratta di una donna che ha rotto i convenzionalismi, è stata capace di rappresentare se stessa e di diventare un portento. È stata in grado di difendere le sue idee, apparire mascolina, schierarsi con il femminismo in un’epoca in cui il mondo si era incattivito attraverso l’ostentazione del maschilismo imperante. Ha rifiutato la sua subordinazione all’universo maschile, si è resa autosufficiente, è diventata un simbolo del femminismo e dell’uguaglianza tra i sessi. Con le sue azioni e le sue opere, ha sostenuto l’idea che tutti gli esseri umani hanno la stessa posizione nella piramide della vita.
Naturale è bello. Il messaggio, forte e chiaro, viene “gridato” ancora oggi dalle opere d’arte di Frida Kahlo; pare che con quei quadri voglia dirci ancora adesso: “Lottate per i vostri ideali e accettate i vostri difetti. Anzi, rendeteli il vostro tratto distintivo e punto di forza”. Lei lo ha fatto ed è diventata un’icona di stile, oltre che un simbolo del femminismo. Spesso nei suoi autoritratti indossa il costume Tehuana, opta per toni accesi, multicolor, porta capelli lunghissimi tassativamente con riga centrale e raccolti in uno chignon o in trecce, il tutto valorizzato da corone di fiori. Sulle labbra, rossetto rosso. Mentre spopolavano le sopracciglia sottilissime, lei le lascia naturali. Famoso è infatti il suo mono-sopracciglio. Stessa cosa per i baffi.
Noncuranza? Diciamo più sicurezza di sé, non adeguamento alle tendenze, tanto che a notarla è anche Vogue USA che le dedica un servizio nel 1937 e, dopo la sua morte, Vogue Mexico che nel 2012 la mette in copertina.
Insomma, con lei i difetti diventano pregi, aspetti da esaltare, da non nascondere. E’ una donna forte, che ha avuto una vita difficile tra incidenti, malattie, tradimenti. Ma lei combatte. E anche il suo aspetto eclettico, esotico, è la sua forza. E’ in controtendenza in tutto e per tutto.
Questa frase anche al giorno d'oggi è molto veritiera: infatti una donna, come Frida Kahlo, che affronta la vita con grinta, occupa posti di lavoro o nella società che un tempo appartenevano all'uomo o che afferma la propria persona con energia e carica per molti uomini può risultare scomoda. Proprio in questo contesto nasce il femminicidio che, purtroppo, ormai è entrato nella vita quotidiana.
John Lennon con la sua canzone è stato il primo a parlare delle donne da questo punto di vista, denunciando soprattutto il modo in cui esse sono trattate da certi, uomini, o meglio presunti tali. Il titolo del brano è volutamente provocatorio: "nigger" è infatti il dispregiativo per "nero"; quindi "Woman is the nigger of the world" significa "la donna è la negra del mondo".

La canzone procede in un crescendo di rabbia e di accuse rivolte all'uomo e a pari passo la voce di Lennon si fa sempre più aspra e il ritmo del brano si fa incalzante. Si chiamano in causa la costrizione imposta quasi solo esclusivamente alla donna della responsabilità e della crescita dei figli, si ricorda come si cerchi confinarla in casa. Così, lei è "the slave for the slaves", la schiava per gli schiavi(2). Infatti, qualsiasi uomo, di ogni grado economico, politico, etnico, di qualsiasi convinzione religiosa, culturale, è certo di poter controllare, dominare o manipolare almeno una persona: la donna e non di rado tutto ciò sfocia nella violenza.
Anche per ciò la canzone è ancora molto attuale: non solo per come può vivere la donna in Paesi fondamentalisti sul piano religioso; questa sarebbe una considerazione troppo facile.
No, penso che il brano sia ancora molto attuale anche in Paesi cosiddetti democratici e liberi, che però non fanno granché per contrastare la visione della donna come oggetto di piacere sessuale e come conquista su cui esercitare un potere.


VEDOVE: LA COLPA DI ESSERE SOPRAVVISSUTE  di Beniamino Rocca 


Le condizioni etiche e legali in cui si trovano le vedove nel mondo
Vedova: un termine che molti usano, normalmente, magari per indicare una persona o parlandone; ma ci sono paesi in cui il termine “vedova” non è solo quello “stato civile” indicato sulle nostre carte d’identità. È a dir poco sconvolgente scoprire come una parola così “comune” nel nostro linguaggio, triste, ma limitata ad indicare una condizione, sia una condanna vera e propria in altri paesi nel mondo. Tutto ciò è strettamente legato alle grandi violazioni dei diritti umani che le donne ancora oggi subiscono (matrimoni forzati, violenze, mutilazioni), ma sebbene la situazione sia ancora parecchio critica, la speranza del cambiamento sembra sempre più vicina. Le condizioni di una donna che subisce la perdita del marito sono, in alcuni paesi del mondo, spaventose: nella cultura indiana, le donne rimaste vedove sono colpevoli di essere sopravvissute al proprio marito; Vasantha Patri, autrice di un saggio sulle vedove indiane, scrive: <le vedove sono vive fisicamente, ma morte socialmente>. Esse infatti, alla morte dell’uomo che “le aveva prese” perdono tutto, ogni bene, soldi e anche la loro stessa dignità. Oggi, numerose associazioni stanno cercando di aiutare queste donne che, letteralmente cacciate fuori di casa e spogliate di ogni bene, si sono ridotte a vivere “alla giornata” vivendo per strada in condizioni terribili. Ma con quale diritto, regola o legge non scritta si sono trovate in questa condizione? La società? La legge? 

Altro caso sconvolgente è quello dell’Uganda dove, come in molti altri paesi del continente africano, si verifica il fenomeno del property grabbing, ovvero accade che, quando il marito muore, alla vedova vengono tolti tutti i beni, dalla casa ai terreni, fino agli stessi figli; è evidente la concezione, ancora viva e ben radicata, della donna/moglie come una “proprietà” che, quando il suo primo “padrone” muore, passa automaticamente ad un suo parente prossimo, o comunque dello stesso clan. Le storie che si sentono hanno dell’incredibile: Clare Thumushabe, rimasta vedova con due figli e gravida del terzo, venne convocata dal clan del suo defunto marito, e in questa riunione che ha dell’incredibile le dissero che i suoi figli non le appartenevano più; le ordinarono di tenersi alla larga dai raccolti del terreno di cui non poteva più disporre e le comunicarono che il cognato - il fratello maggiore del marito, vent’anni più vecchio di lei - si sarebbe subito trasferito nella sua casa e l’avrebbe presa come terza moglie. La convinzione della moglie/proprietà è molto forte in particolare nelle zone rurali dell’Africa, tanto che, quando Clare sostenne, giustamente, che il marito aveva lasciato dei documenti che provavano che la terra spettava a lei, per tutta risposta i parenti sostennero che evidentemente lei aveva fatto un qualche maleficio per farlo diventare stupido e che era da vedere quanto lui l’avrebbe potuta aiutare dalla tomba in cui giaceva. Numerose associazioni che si stanno muovendo per cambiare questa situazione, anche se la situazione è parecchio delicata perché, come dice la presidentessa di una di queste, «Se sei vedova, porti sfortuna. Sei dannata. Ti si rimprovera la morte del tuo sposo. Lui poteva avere anche diverse case, diverse mogli, essersi contagiato con l’Hiv, ma se muore è colpa tua. L’hai ucciso tu». Ecco alcuni dei reati contestati nella prima metà del 2016: sfratto illegale, violazione di domicilio, interferenza indebita, vale a dire l’ingerenza inammissibile negli affari di qualcun altro. Come negli altri paesi del mondo, neppure in Uganda esiste una legge che proibisce di trattare una vedova come se la sua vita non avesse più valore. Personalmente, spero che la situazione possa cambiare presto. Con quale diritto un uomo, un qualsiasi uomo, può permettersi di fare una cosa del genere? 


FONTE: National Geographic http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2017/02/10/foto/lutto_per_la_vita-3408803/1/

Dovremmo essere tutti femministi   di Virginia Rizzi
Chimamanda Ngozi Adichie è una scrittrice nigeriana, le sue opere sono tradotte in 13 lingue e sono apparse in svariate pubblicazioni incluse importanti riviste straniere.
Nel dicembre del 2012 Adichie ha parlato di femminismo per TEDxEuston – un incontro annuale dedicato all’Africa a cui partecipano oratori di diverse discipline per scuotere un pubblico formato da africani e amici dell’Africa - con un intervento dal titolo We should all be feminists.
Poniamoci alcune domande: gli stereotipi plasmano il nostro modo di pensare? A cosa pensi quando senti la parola femminista? La parola femminismo non deve metterci paura, significa desiderare la parità dei diritti sociali economici e civili, vuol dire parità di genere.
“il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo”  Ad esempio l’uomo non può esprimere le proprie emozioni perché viene immediatamente stigmatizzato come una femminuccia, mentre una donna non può mostrare il suo carattere forte e sportivo perché diventa un maschiaccio.
“Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a se stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli”
Occorre insegnare ai propri figli a conoscersi e a rispettare la diversità dell’altro.
Anche le nuove generazioni riescono ad essere maschiliste ed ingiuste, non parlo solo di ragazzi, ma soprattutto di ragazze. C’è una continua esigenza di mettersi in competizione con le proprie coetanee a partire dall’abbigliamento,  dal viso, dalle unghie e dalla pelle: si è sempre pronte a giudicare l’altro per sentirsi migliori.  Ma che vita faticosa …  Le ragazze di oggi sono capaci ad apostrofare un’altra con il soprannome di “prostituta” solo perché  ha il pantaloncino più corto o perché riceve più attenzioni. Le peggiori maschiliste diventano proprio le ragazze, che si misurano secondo vecchi e ammuffiti stereotipi. Se imparassimo a voler bene a noi stessi, senza dover sminuire in continuazione chi abbiamo davanti, questo sarebbe sicuramente un mondo migliore.  
“La mia definizione di femminista è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio”

E’ così che Chimamanda conclude il suo discorso, ed è così che voglio concludere questo mio breve sfogo di pensieri: se vogliamo cambiare il mondo in cui viviamo dobbiamo metterci al lavoro tutti insieme. Il femminismo non riguarda solo le donne, ma gli uomini e le donne, occorre che entrambi imparino a conoscersi, ad esprimere quello che sono, sapendo che in tutti e due ci sono tratti maschili e femminili: solo nel rispetto reciproco e nella relazione ciascuno può diventare sé ed esprimere il suo meglio. In questo modo faremo crescere una nuova cultura; perché “la cultura non fa le persone. Sono le persone che fanno la cultura” e così consegneremo un mondo migliore alle generazioni future.


APPROFONDIMENTO DI VITTORIA LUISA ZAGHET


In Afghanistan la realtà di qualche decennio fa era molto diversa da quella odierna: donne vestite come le attuali occidentali, verdissimi giardini e meravigliose strutture architettoniche.
È errore comune pensare che questo paese sia sempre stato un Paese dilaniato dalla guerra e lontano dalla cultura occidentale.

Sono stati i talebani infatti a portare all'estremo il fanatismo riguardante la loro religione in Afghanistan. I cambiamenti portati da quest'ultimi si possono notare anche nella semplice vita quotidiana, che tanto semplice omai non è più. Infatti questi distruggono i televisori(le immagini sono vietate dall'Islam), chiudono tutte le scuole femminili, sono arrivati a proibire gli aquiloni, a vietare il rumore delle scarpe delle donne, a distruggere le secolari statue di Buddha. Per non parlare degli scontri sanguinolenti con le altre etnie.
Con il loro arrivo la situazione quasi "idilliaca" viene completamente ribaltata, e le donne sono coloro che ne hanno risentito maggiormente, a quest'ultime infatti è stato sostanzialmente proibito di far parte della società.

Purtroppo in questi paesi le donne sono considerate come dei veri e propri oggetti, usate per soddisfare i bisogni sessuali degli uomini e compiere attività domestiche.  In base ad alcuni versetti del Corano come: "le vostre donne sono come un seme da coltivare e quindi potete farne quello che volete" (2:223) e a causa di sbagliate interpretazioni delle scritture, gli uomini hanno assunto un potere assoluto nei confronti delle donne e queste sono private di ogni diritto: dietro ai loro burqa non possono vedere, né tanto meno essere viste, parlare, ridere, rischiano quotidianamente di essere fustigate pubblicamente e ingiustamente.  In questo modo rimangono private non solo della libertà, ma anche di un volto, di una voce, di movimento.  Purtroppo ai talebani questo non basta, come ci dice Malala infatti, loro temono realmente le donne e vorrebbero privarle anche del pensiero e della volontà. Quel che è peggio è che spesso ci riescono, basti pensare che prima che i talebani arrivassero queste esercitavano la professione di medico, ingegnere, infermiera o qualunque altro mestiere, mentre ora sono nascoste dietro il burqa e segregate in casa sotto lo stretto controllo degli uomini, con i vetri oscurati per evitare che qualcuno, da fuori, possa scorgerle, picchiate brutalmente per ogni minima violazione della particolare legge coranica riconosciuta dai talebani. Costrette a queste insostenibili condizioni di vita, molte sono afflitte da comprensibili problemi psichici, altre si uccidono, si lasciano morire o muoiono per mancanza di cure mediche, dal momento che dottori maschi non possono curarle e le donne non possono più studiare né lavorare. 
Queste restrizioni continuano a ucciderle nello spirito e a privarle della stessa esistenza umana.

Molte donne cercano tuttora di lottare contro queste ingiustizie, in particolare è ricordata per la sua battaglia a favore dell'istruzione delle bambine contro i talebani e vincitrice del premio Nobel per la pace, Malala Yousafzai. 
In particolare, la sua esperienza è testimoniata dal libro "io sono Malala", dove racconta la sua vita a partire dalla nascita fino a quando ha rischiato di morire.  
Nel libro narra di quando era bambina e andava a scuola vivendo tranquillamente con la sua amorevole famiglia. Dal momento in cui i talebani fanno la loro entrata, la loro vita è ribaltata e la paura diventa qualcosa di quotidiano con cui tutti devono imparare a convivere. Nonostante ciò, la determinatezza e la voglia di libertà e di diritti non abbandonano l'animo della ragazzina, che cerca in tutti i modi di combattere le imposizioni dei talebani sulle donne, in particolare a favore dell'istruzione. 
Da sempre educata a lottare per i propri diritti, fu incoraggiata dal padre a scrivere per un corrispondente radiofonico una sorta di diario per testimoniare la vita sotto  i talebani.
Tra tutti i suoi pensieri quello che emerge maggiormente riguarda la paura di andare a scuola, poiché, come ci racconta, i talebani avevano emanato un editto che proibiva a tutte le ragazze di frequentare la scuola.

<< Solo 11 compagne su 27 sono venute in classe. Il numero è diminuito a causa dell’editto dei talebani. Per la stessa ragione, le mie tre amiche sono partite per Peshawar, Lahore e Rawalpindi con le famiglie.
Mentre tornavo a casa, ho sentito un uomo che diceva “Ti ucciderò”. Ho affrettato il passo, guardandomi alle spalle per vedere se mi seguiva. Ma con grande sollievo mi sono resa conto che parlava al cellulare. Minacciava qualcun altro.>> 


<<Oggi è vacanza, e mi sono svegliata tardi, alle 10 circa. Ho sentito mio padre che parlava di altri tre cadaveri trovati a Green Chowk (al valico). Mi sono sentita male sentendo questa notizia. Prima del lancio dell’operazione militare, andavamo spesso a Marghazar, Fiza Ghat e Kanju per il picnic della domenica. Ma ora la situazione è tale che da un anno e mezzo non facciamo più un picnic.
Andavamo sempre anche a passeggiare dopo cena, ma adesso torniamo a casa prima del tramonto. Oggi ho studiato e giocato con mio fratello, ma il mio cuore batteva forte — perché devo andare a scuola domani.>>
Piano piano Malala diventa un simbolo, finché i talebani non decidono di ucciderla.
Miracolosamente la ragazza sopravvive ad una sparatoia e da quel momento in poi diventa famosa per il suo coraggio. 

Inoltre non solo ha recentemente ricevuto il premio Nobel per la pace, ma ha anche diversi progetti per il futuro, indirizzati alla lotta contro i talebani e ai diritti delle donne.