Percorso letterario sulle
mutilazioni femminili di RIGOLLI SARA
Il
corpo femminile è stato, fin dai secoli più antichi, oggetto di
desiderio e di contesa, considerato spesso come merce e non
appartenente ad un individuo maturo, in grado di compiere scelte o di
pensare. Per questo si diffuse la pratica delle mutilazioni genitali
femminili, sperando di limitare le possibilità di scelta, privando
la donna non solo delle libertà umane ma anche del possesso del
proprio corpo. Se siamo propensi a concepire questa realtà come
appartenente al passato, è assolutamente necessario ricordare che è
ancora drammaticamente presente e attuale, su cui è necessario
informarsi, anche tramite alcuni libri assai piacevoli nonostante
l'importanza e la fatica dei temi trattati, adatti a fasce d'età
diverse: per avvicinare e sensibilizzare i ragazzi si consiglia la
lettura de “il gatto dagli occhi d'oro” di Silvana De Mari, edito
da Fanucci nel 2009.
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La
storia tratta di “streghe” in un continuo rimando tra passato e
presente, in un passaggio segnato dalla continua presenza di un gatto
dagli occhi d'oro. Nel presente si seguono le vicende di Leila, una
bambina appena trasferitasi in città dalla periferia, che inizia
l'avventura delle Scuole Medie. Struggente e significativo il
personaggio di Maryam, amica della protagonista che vive nello stesso
degrado dal quale ella era fuggita, una bambina di 11-12 anni che ha
appena subito l'infibulazione, la pratica di creare una cintura di
castità alle ragazzine attraverso un “taglio” di parte dei
genitali, in modo da privarle del piacere durante i rapporti e
garantire allo sposo la verginità. Maryam ha però la forza di
denunciare questa barbarie, grazie a Leila e alla sua nuova amica
Fiamma, la cui madre è ginecologa ed esperta in mutilazioni
genitali. Al termine del libro le ragazze espongono una ricerca sulle
streghe, parlando del dolore di essere cacciate e accusate dal
proprio popolo. Maryam parla del fenomeno dell'infibulazione nel
mondo e del suo dolore, di come ormai lei sia una reietta per la sua
società perché ha denunciato, si è sottoposta ad un “intervento
riparatore”, combattendo per la sua dignità di donna, nonostante
la giovane età.
Nonostante
sia un fantasy e un romanzo, non presenti, dunque, le caratteristiche
necessarie per un'affidabilità realistica, aiuta ad avvicinarsi al
mondo delle violenze sul corpo femminile.
È
dedicato ad una donna reale, Ayaan Hirsi Ali, nata in Somalia e
sottoposta ad infibulazione, che fuggì in Olanda una volta
riacquisita la coscienza di sé, qui entrò in Parlamento, battendosi
per un'integrazione del mondo islamico nei canoni occidentali,
accusando duramente l'estremismo e la cultura somala legata all'Islam
più antico e conservatore.
La
sua vita è narrata nell'autobiografia “Infedele” edita da
Rizzoli nel 2008.
Nel
complesso mondo islamico, la donna racconta la sua crescita, il
percorso per prendere coscienza della sua individualità, il
passaggio attraverso l'estremismo e dà largo spazio al ruolo
dell'infibulazione nella sua vita, nella vita di tante ragazzine e
bambine come lei, che considerano questa pratica “normale”,
affatto violenta o lesiva dei loro diritti.
L'impopolarità
di una “apostata” che denuncia le violenze a cui le donne
islamiche sono sottoposte e la loro profonda passività.
La forza di
questa donna fece paura ai somali, agli estremisti islamici, in
particolare per il cortometraggio “Submission” in cui si mostra
cosa subiscano le donne nei Paesi in cui si applica letteralmente la
Shari'a, video girato con Theo Van Gogh che causò la morte violenta
del regista, ucciso in strada da un attentatore.
La lettura dei
due testi è stata per me foriera di riflessioni e di profondo
turbamento, aprendomi all'informazione riguardo al mondo delle
mutilazioni femminili, al punto di scoprire che tra Egitto ed Etiopia
50 milioni di ragazze e bambine hanno subito l'infibulazione,
fenomeno non strettamente legato al mondo islamico: infatti, in
Etiopia, hanno subito mutilazioni l'89% delle donne musulmane, il 67%
delle cattoliche e il 69% tra quelle di altre confessioni cristiane.
Secondo i dati ufficiali, in Europa nel 2012 c'erano circa 500mila
donne e ragazze che convivevano con questa pratica e 180mila a
rischio di subirla, in America circa 513mila in totale.
Oltre allo
svilimento della persona, dell'individualità, della libertà di
amare, l'infibulazione è causa di morte, in seguito ad infezioni
dopo l'intervento e a complicazioni durante la gravidanza e il parto:
di parla di oltre 70.000 decessi l'anno.
Ritengo questo
fenomeno inaccettabile, non soltanto nei Paesi di origine delle
bambine e ragazze, ma soprattutto nei Paesi Occidentali, dove la
pratica è vietata e perseguibile penalmente (in Italia con
reclusione dai 4 ai 12 anni e la perdita della patria podestà,
secondo la legge del 9 febbraio 2006), eppure si pratica ancora con
regolarità e, apparentemente senza che nessuno se ne accorga. È
stata anche istituita una Giornata Mondiale contro le mutilazioni
femminili, il 6 febbraio, ma quanti ne avevano sentito parlare?
Quanti erano a conoscenza di questa pratica atroce? Ritengo
fondamentale una maggiore sensibilizzazione, perché le bambine
abbiano coscienza del proprio diritto a convivere serenamente con il
proprio corpo, la propria sessualità e dell'estrema gioia e libertà
nel dare la vita, senza che ciò comporti dolore, costrizione o
rischio di morte, senza l'accettazione passiva di una tradizione
antica e barbara.
DONNE
DI OGGI NEL MONDO di Alice Bo
“Ma
vi pare! Siamo quasi nel Duemila e qui praticano ancora
l’infibulazione!” ”Cose da Medioevo.” Con questo scambio di
battute si apre il quinto capitolo del libro “Ilaria Alpi la
ragazza che voleva raccontare l’inferno” di Gigliola Alvisi. E’
comprensibile lo stupore della giornalista, una donna italiana
vissuta in un’epoca felice dove le conquiste delle donne, il
diritto all’istruzione, al lavoro, al voto, il diritto di scelta
rappresentano, nella maggior parte dei casi, la normalità.
Di
fronte a questo atto disumano, l’infibulazione, praticato in alcuni
Paesi islamici per ricordare alle donne la loro inferiorità e la
loro condizione di oggetto di proprietà prima del padre e poi del
marito si rimane basiti e angosciati: fin dove arriva la crudeltà
umana per considerare legittima la mutilazione di un proprio simile?
Riflettendo,
spaziando nel tempo, verrebbe da pensare che sia sempre stato così:
nel corso della storia le donne sono sempre state considerate
inferiori agli uomini. Già dalla Creazione si narra che Eva sia
stata generata da una costola di Adamo come se fosse solo
un’appendice dell’uomo; la situazione non è poi cambiata nei
secoli a venire, la donna infatti era considerata solo lo strumento
che permetteva la riproduzione e perciò non era le era riconosciuto
alcun diritto: né di essere istruita, né di partecipare alla vita
pubblica, né tantomeno alle decisioni politiche. Forse non era
dotata di cuore e cervello come l’uomo?
Solo
la caparbietà di donne coraggiose e uomini intelligenti che insieme
hanno lottato affinchè fosse “normale” quanto sino ad allora
rappresentava un’utopia ha permesso almeno all’Occidente di
vedere le donne protagoniste della storia insieme agli uomini. In
quest’epoca è nata e cresciuta Ilaria Alpi, e seppur con fatica, è
diventata interprete di questo modo di vivere. La sua professione di
giornalista è diventata quindi un mezzo per denunciare le
disuguaglianze dei nostri tempi.
Ecco
perché ha sentito di dover lanciare un urlo di dolore e sgomento
contro la violenza che l’uomo esercita verso la donna, quasi a
voler evitare qualsiasi tipo di confronto che tra individui simili è
giusto che ci sia per la crescita di entrambi. Nessuna
prevaricazione deve essere riconosciuta legittima in uno Stato
civile. Ma è proprio così anche da noi? Quante donne vengono uccise
dal compagno perché decidono e pensano con la propria testa. E’ su
questo che devono concentrarsi gli sforzi di tutti, non po’ essere
considerato normale vivere nella paura di esprimere le proprie idee,
i propri sentimenti se diversi da quelli degli altri. La storia di
Jamila, la giovane protagonista del libro, è tanto diversa da quella
di Ilaria? Entrambe sono state sopraffatte dal egoismo ma soprattutto
dalla paura dell’uomo di sostenere un confronto paritario con loro.
Jamila, dopo anni di soprusi è riuscita a ribellarsi, Ilaria Alpi
invece a causa del suo lavoro di denuncia è stata assassinata
barbaramente. Ci restano però i suoi scritti per poter ripartire e
rendere migliore il nostro mondo.
Io, la musica, le donne e i loro diritti
di Guglielmo De Carlo
Mi
chiamo Guglielmo, sono un ragazzo di 16 anni e tredici anni fa
precisamente il 5 marzo del 2004 nacque la mia sorellina, Chiara.
Creò così un forte squilibrio in famiglia: ora io e mio padre ci
trovammo in chiaro svantaggio numerico rispetto le mie due sorelle e
mia mamma, quel giorno le donne iniziarono a comandare in casa mia.
Sono cresciuto con Andrea, il mio migliore amico vedendo le nostre
sorelle che guardavano le Barbie, giocavano a “mamma e figlia” e
dormivano con il pupazzo di Minnie, da bravi fratelli minori facemmo
lo stesso. Pochi anni dopo mia nonna mi disse per prima che oramai
ero grande e non avrei più potuto tenere il pupazzo di Minnie con me
in quanto un gioco da “femmine”. La notizia mi fece moltissimo
male ma allo stesso tempo ripudiai quel gioco convincendomi a vedere
quell'oggetto come una cosa non per me, un qualcosa che non poteva
piacermi quasi eretico. Iniziò finalmente la mia carriera “da
maschio”: iniziai a fare pallanuoto, ad ascoltare rap, a tagliarmi
i capelli corti da bravo bambino, come il resto dei miei compagni di
scuola e iniziai a provar vergogna nel pianger davanti ad altri (e
ancora oggi continuo a provarla). Pochi mesi fa ho ascoltato per la
prima volta “Growing Up” una canzone di Macklemore, un cantante e
produttore statunitense che seguo da molto tempo dedicata alla figlia
appena nata che cita:
“Dicono
che i ragazzi non dovrebbero piangere mai e dicono che dovrei essere
un uomo forte ma in realtà, ho molta paura. Dicono che le ragazze
non dovrebbero essere dure e che le mamme dovrebbero stare a casa a
crescere i bambini ma piccola, io so che non è vero perché tua
mamma è la persona più forte che conosco, voglio crescerti come lei
e vederti mostrare al mondo come tu ce la faccia da sola”
Questa
società nella quale viviamo oggi, maschilista, misogena, razzista e
omofoba ci sta rendendo tutti più uguali, ignoranti, passivi e
soprattutto indifferenti nei confronti di ciò che ci circonda. Oggi
si ha paura di dire ciò che davvero si pensa, indossare ciò che
davvero vorremmo vestire, leggere ciò che ci piace e ascoltare la
musica che amiamo temendo di non essere accettati, rispettati o
semplicemente compresi.
“Quando
ero in terza elementare pensavo di essere gay perché ero bravo a
disegnare e perché tenevo in ordine la mia cameretta. Un giorno lo
dissi a mia madre mentre le lacrime mi rigavano il volto e mi
rispose:”Ben, ami le ragazze sin dalla prima asilo” esultai”.
Macklemore-
Same Love
Durante
gli anni dell'asilo mia sorella Vittoria, più grande di me di due
anni, aveva una cotta per un ragazzo di qualche anno più grande, si
chiamava Filippo, se non sbaglio. Un pomeriggio tornò a casa
disperata e raccontò che questo bambino la aveva derisa davanti ai
suoi amichetti. Mio padre rimproverò me ma solo molti anni dopo ne
capii il motivo: non avevo difeso mia sorella presa di mira da uno
più forte di lei, non capivo proprio perché dovevo finirci in mezzo
proprio io bambino Pacifico con la p maiuscola. Adesso lo capisco
benissimo, in Italia sono circa sette milioni le donne che durante la
loro vita hanno subito una forma di abuso, il 40% degli omosessuali
in Italia dichiara di aver subito almeno un episodio di violenza per
il suo orientamento sessuale e nel 2014 poco più del 50% degli
11-17enni ha subito qualche violenza fisica o psicologica. La verità
è che purtroppo ancora oggi in Italia si ritiene forte un uomo
capace di sottomettere altre persone e non un uomo capace di amarle e
difenderle.
“So
che a loro piace maltrattarti, so che quando cammini per strada ti
insultano ma per favore, non piangere, asciuga le lacrime dai tuoi
occhi, perdona, ma non dimenticare, tieni sempre la testa alta
piccola.”
2Pac-Keep
ha head up
I
diritti delle donne come quelli di un qualsiasi essere vivente vanno
rispettati e anche, se possibile, amati.
“Mi
chiedo perché maltrattiamo le nostre donne, perché violentiamo le
nostre donne, odiamo forse le nostre donne? Penso sia ora di
difendere le donne, di guarire le donne, di rispettare le donne e se
non lo faremo avremo una generazione di bambini che odieranno le loro
madri”
Le
conquiste delle donne di Leonardo CAGNI
La
prima domenica di dicembre del 1881 fu un giorno memorabile nella
storia italiana : Anna Maria Mozzoni e Paolina Schiff fondano la
“Lega promotrice degli interessi femminili “ che aveva come
obbiettivi prioritari il diritto al voto per le donne e la parità
retributiva . La donna era considerata geneticamente inferiore
all’uomo ed era relegata al ruolo di procreatrice. All’inizio del
900, nascono gruppi di donne che rivendicano il diritto al voto , il
divorzio , un nuovo diritto di famiglia e, tra le operaie, la
richiesta delle otto ore di lavoro. Furono le mondine, nel 1906, dopo
anni di lotte a strappare nel vercellese la giornata di otto ore. Una
grande vittoria, pagata duramente con scioperi, scontri, processi e
condanne. Nel 1908, a New York, 120 operaie muoiono nell’incendio
della fabbrica che stavano occupando per ottenere migliori condizioni
di lavoro: questa data verrà ricordata ogni anno, in tutto il mondo,
come la giornata internazionale per l’emancipazione femminile. Il
suffragio alle donne, fu la battaglia che unì i movimenti femminili
in tutto il mondo; in America le donne votarono per la prima volta
nel 1919; in Inghilterra e Francia il movimento suffragista , tra le
tante difficoltà, riuscì a portare al voto le donne nel 1918; in
Italia bisognerà aspettare il 1946, con la fine del fascismo.
Durante la prima guerra mondiale, con gli uomini al fronte, le donne
dimostrano di essere in grado di gestire da sole l’economia del
paese: furono impiegate in ogni settore e la manodopera femminile
nelle fabbriche di armi raggiunse il 70% . Peccato che, finita la
guerra, devono tornare a casa ad occuparsi dei figli. Ma fu il
fascismo a togliere alla donna gran parte delle sue conquiste,
tornando a relegarla nel ruolo di massaia e procreatrice di soldati
per il duce. Mussolini emanò leggi contro il lavoro femminile:
(1927) non possono essere nominate dirigenti nelle scuole, (1928)
sono escluse dall’insegnamento nei licei, (1933) sono escluse dalle
amministrazioni dello stato. Gli unici provvedimenti a favore furono
le norme di tutela per le lavoratrici madri (1933). Dopo l’8
settembre, molte donne entrarono nella resistenza, manifestando una
presa di coscienza politica, condividendola con i compagni maschi
nelle formazioni partigiane. Un gruppo di donne, tra le quali Ada
Godetti e Lina Merlin , fondano “I gruppi di difesa delle donne e
per l’assistenza ai combattenti per la libertà”.
Il
2 giugno 1946 donne italiane
esercitarono per la prima volta il diritto di voto, per il referendum
istituzionale e per l’elezione dei membri dell’assemblea
costituente, dove furono elette 21 donne pari al 4% del totale. Ma
sarà la carta costituzionale a sancire la parità con l’uomo, a
porre un punto fermo sui diritti conquistati dopo anni di lotte, di
sofferenze e umiliazioni : art. 3 – tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione
di sesso …art. 31 – la Repubblica agevola con misure economiche e
altre provvidenze la formazione delle famiglie…protegge la
maternità, l’infanzia la gioventù; art. 37 - la donna lavoratrice
ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni
che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire
..alla madre e al bambino adeguate protezioni; art. 48 – sono
elettori uomini e donne; art. 51 – tutti i cittadini dell’uno e
dell’altro sesso, possono accedere agli uffici pubblici e alle
cariche elettive in condizione di uguaglianza. Le donne erano
finalmente entrate a pieno titolo nella cittadinanza sociale e
politica, non erano più solo madri , mogli o sorelle, ma potevano
aspirare a ben altri orizzonti. La prima donna ministro fu Tina
Anselmi, nel 1976. Le donne capirono presto che i loro problemi non
sarebbero stati affrontati come tali. Il divorzio, la riforma del
diritto di famiglia, l’aborto, divennero quindi il terreno di
scontro per una politica di genere, e le donne, tenaci e combattive,
non lasciarono i partiti, ma crearono al loro interno le sezioni
femminili. L’organizzazione più diffusa sul territorio era l’UD.
In questi anni (46-68) diverse furono le leggi che resero la donna
pari all’uomo, almeno sulla carta. La più significativa fu la
Legge Merlin (1958)
che abolisce le case chiuse e regolamenta la prostituzione.
Questa legge fu aspramente
avversata dagli uomini, che vedevano i loro privilegi diminuire. La
Merlin presentò la legge in nome dei diritti delle donne, denunciò
la legge in vigore come “comodità del vizio” per gli uomini che
volevano la donna schiava per i loro piaceri.
Un’altra
legge fondamentale fu quella del 1963, che permise alle donne il
libero accesso a tutte le professioni: dopo un secolo di
discriminazioni le donne finalmente entrarono in Magistratura.
Il
divorzio venne legalizzato nel
1970, nel 74 la democrazia cristiana propose di abrogarlo, ma nel
referendum popolare il 59% degli italiani votò a favore. Nel 1971 la
legge sulla maternità
estese il congedo a cinque mesi, fu abrogata la legge fascista contro
i contraccettivi e fu varata quella per l’istituzione degli asili
nido. Nel 1975 furono istituiti consultori pubblici, una vera
rivoluzione nel campo della salute della donna.
Nel
1975 si riscrive il diritto di famiglia
che elimina tutte le disparità tra uomo e donna del vecchio codice.
Uomo e donna hanno uguali diritti –doveri sulla prole, sul
patrimonio e la donna non è più in alcun modo soggetta al marito.
Permane l’unica discriminazione legata al cognome della donna
sposata e dei figli che prendono quello dell’uomo. Ma la legge più
sofferta fu quella nel 78, sull’aborto;
si iniziò a parlarne nel 71. In Italia le donne abortivano
illegalmente, spesso morivano nelle mani delle mammane, venivano
denunciate e incriminate. Si parla di tre milioni di aborti all’anno,
con circa 20 mila donne morte. Le femministe si mobilitarono a favore
dell’aborto libero e gratuito, praticato nelle strutture pubbliche,
lasciando la decisione alle sole donne. Nel 1981 si cercò di
abrogare la legge, ma non vi riuscì, era chiaro che anche per gli
elettori cattolici l’aborto clandestino non era più accettabile.
In
questo trentennio la norma più significativa è la legge sulla
violenza sessuale. Emanata nel ‘96 dopo venticinque anni di iter
parlamentare, di dibattiti e di lotte delle donne. La legge subì
diversi stalli e, solo nell’81, quando furono abrogate le norme che
ammettevano l’attenuante dell’”onore” per i reati di violenza
e omicidio contro le donne (e contro il matrimonio riparatore, grazie
al quale lo stupratore poteva essere assolto se sposava la vittima,)
la legge riprese l’iter parlamentare e fu votata nel 96. La legge
sullo stalking (persecuzioni moleste ), approvata nel 2009, riconosce
un problema sociale nuovo e pericoloso: la persecuzione e il
controllo sulle donne attraverso atti quotidiani ossessivi quali le
telefonate, i pedinamenti, le minacce anche di morte.
PRIMA
DELLA LEGGE MERLIN di Leonardo CAGNI
Un
decreto del 1859, voluto dal conte
di Cavour, autorizzava l’apertura di case controllate dallo
Stato per l’esercizio della prostituzione in Lombardia. Nel
febbraio del 1860 il decreto fu trasformato nella Legge “Regolamento
del servizio di sorveglianza sulla prostituzione”. La Legge fissava
le tariffe e altre norme, come la necessità di una licenza per
aprire una casa e di pagare le tasse per i tenutari, controlli medici
da effettuare alle prostitute per contenere le malattie veneree. Il
testo definitivo della legge, approvato nel 1888, vietava inoltre
l’apertura di case di tolleranza in prossimità di luoghi di culto,
asili e scuole e imponeva che le persiane dovessero restare sempre
chiuse: di qui il nome di “case chiuse”.
Per
tutti i primi anni del 1900 e durante il fascismo non
si registrarono variazioni rilevanti nella legislazione sulla
prostituzione se non una disposizione di Benito Mussolini degli anni
’30 che imponeva ai tenutari di isolare le case con muri detti “del
pudore” alti almeno 10 metri. Si arrivò così al 20 settembre
1958, quando a seguito di un lungo dibattito nel Paese, venne
introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione e si decise
di chiudere le case di tolleranza con la cosiddetta Legge Merlin, dal
nome della promotrice e prima firmataria, Angelina (Lina) Merlin del
Partito Socialista.
La
Legge Merlin –
Il 6 agosto 1948 la senatrice Lina Merlin presentò il suo disegno di
legge per chiudere la case di tolleranza e combattere lo sfruttamento
della prostituzione. E' un'Italia, quella del 1948, ancora
estremamente arretrata, dove le donne hanno
da poco conquistato il diritto
al voto e dove il ministro
dell'interno Mario Scelba ha
appena vietato l'uso del bikini nelle spiagge.
Prese così il via, nelle aule di
Camera e Senato, un lungo iter parlamentare che vide la sua
conclusione solo nel 1958. Dieci anni per approvare una legge che
ancora suscita opinioni controverse.
La Legge Merlin permetteva,
inoltre, all’Italia di rispettare la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani,
con la quale si era impegnata quando aveva aderito all’ONU.
La Dichiarazione invitava infatti, fra l’altro, gli stati firmatari
a porre in atto “la repressione della tratta degli esseri umani e
lo sfruttamento della prostituzione”. All’epoca fra gli
oppositori Indro Montanelli che nel 1956 aveva pubblicato un breve
saggio polemico intitolato “Addio Wanda!” che, in certo senso,
rispondeva al libro pubblicato l’anno precedente dalla giornalista
Carla Voltolina, moglie del futuro presidente Sandro
Pertini, e dalla stessa Lina Merlin, intitolato “Lettere dalle case
chiuse”.
Dal
1958 ad oggi, il tema della prostituzione continua a rimanere al
centro del dibattito politico e innumerevoli sono state le proposte
di variazione e di revisione della Legge 75/58, meglio nota come la
Legge Merlin.
A
Lina Merlin, la prima donna a essere eletta al Senato, va anche il
merito dell’abolizione della dicitura «Figlio di N.N.» usato
sugli atti anagrafici di coloro il cui padre era ignoto o non aveva
provveduto al riconoscimento legale della paternità (Legge 31
ottobre 1955, n.1064), l’equiparazione dei figli naturali ai figli
legittimi in materia fiscale, l’abolizione della «clausola di
nubilato» nei contratti di lavoro, che sanciva il licenziamento alle
lavoratrici che si sposavano (Legge 9 gennaio 1963, n.7).
LE
SPOSE BAMBINE DI SARA CUPELLO
LA
FIGURA DELLA DONNA:
La
giornata internazionale delle donne, che si festeggia ogni anno l’8
marzo, è stata istituita per ricordare da un lato le conquiste
politiche, sociali ed economiche delle donne, dall’altro le
discriminazioni e le violenze da loro subite nella nostra storia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si è fatto per molto tempo risalire
la scelta dell’8 marzo ad una tragedia accaduta nel 1908, che
avrebbe visto come protagoniste le operaie dell’industria tessile
Cotton di New York, rimaste uccise da un incendio. In realtà questo
fatto non è mai accaduto, e probabilmente è stato confuso con
l’incendio di un’altra fabbrica tessile della città, avvenuto
nel 1911, dove morirono 146 persone fra cui molte donne. I fatti che
hanno realmente portato all’istituzione di questa festa sono di
diverso tipo, più legati alla rivendicazione dei diritti delle
donne, tra i quali il diritto di voto.
In
Italia quest’anno è stato proclamato , in occasione dell’8
marzo, uno sciopero globale per la violenza contro ogni genere, in
quella che con lo slogan “Lotto marzo” si caratterizza come una
tra le feste della donna più politiche degli ultimi anni. Il
presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dedicato il
proprio discorso sull'8 Marzo alla pace, sottolineando quanti
"ostacoli, incomprensioni e pregiudizi" le donne debbano
ancora affrontare e per lui “promuovere e difendere le donne, i
loro diritti, la loro tutela, il loro lavoro, il loro inserimento nei
processi decisionali significa aprire, concretamente, prospettive di
pace”.
Nonostante
ci siano stati molti cambiamenti, ancora oggi nel mondo le donne
subiscono molte violenze fin dalla tenera età. Un esempio molto
rilevante è il fenomeno delle spose bambine; infatti i dati
dell’ONU, Save the Children in occasione della giornata mondiale,
in difesa delle donne, hanno affermato che nel mondo 700 milioni di
bambine sono costrette a sposarsi in età minorile. Guerre, conflitti
locali e catastrofi naturali incentivano i matrimoni forzati e sono
44 milioni le ragazzine al di sotto dei 14 anni che hanno subito
mutilazioni genitali. Hanno dovuto spesso affrontare gravidanze
precoci e a causa di quest’ultime, molte di loro hanno un’elevata
probabilità di morire durante il parto e la gestazione. Le
complicazioni durante la gravidanza e il parto, dopo i suicidi, sono
la seconda causa di morte tra le ragazze. Inoltre un bambino che
nasce da una madre minorenne rischia maggiormente di morire in età
superiore a diciannove anni, anche nel caso sopravviva, sono molto
più alte le possibilità che possa soffrire di denutrizione e di
ritardi cognitivi o fisici. Per quanto riguarda la mancata
istruzione, le donne rappresentano la metà della popolazione nel
mondo, proprio perché, come affermato dal direttore generale di Save
The Children International, le bambine e le ragazze che si sposano
troppo presto sono spesso costrette ad abbandonare la scuola. Si
sottolinea che l’India è il Paese con il più alto numero di spose
bambine, questi matrimoni sono di solito organizzati dai membri della
famiglia; le conseguenze fisiche ed emotive possono essere
dirompenti, anche mortali. L’aspetto più allarmante dei matrimoni
infantili è che la maggior parte delle bambine non vogliono
sposarsi, vogliono una vita normale, giocare con i loro amici,
ricevere un’educazione completa e avere una piena adolescenza.
Questi matrimoni non sono dannosi soltanto per le bambine coinvolte
ma sono alla radice di tanti mali sociali: la povertà, le malattie,
la mortalità materna e infantile, la violenza contro le donne. Per
cercare di risolvere almeno in parte questo fenomeno, l’istruzione
è ancora la difesa migliore, il che significa mantenere i figli a
scuola il più lungo possibile, così come educare le comunità
sull’impatto nocivo del matrimonio precoce sulla salute delle loro
ragazze, le loro nipoti e le loro società nel complesso. Non vi è
solo la necessità di azione di sensibilizzazione ma si deve trovare
anche il modo di aiutare le ragazze che sono già state costrette in
questi matrimoni, attraverso incentivi finanziari a le loro famiglie
per far loro proseguire gli studi o tramite corsi di formazione in
modo che possano avere una maggiore voce in capitolo nella propria
vita e in quelle delle loro famiglie. Purtroppo non vi è alcuna
soluzione rapida, ma sembra che ci sia un crescente movimento mirato
a porre fine al matrimonio precoce.
Donne di sana e robusta
costituzione - di Rosetta Gaggero e Elena Vinciguerra
"Donne,
attenzione: dovete stare dentro casa a qualsiasi ora e giorno. Non è
decoroso per una donna vagare oziosamente per le strade. Se uscite,
dovete essere accompagnate da un
mahram, un parente di sesso
maschile. La donna che verrà sorpresa da sola per la strada sarà
bastonata e rispedita a casa. Non dovete mostrare il volto in nessuna
circostanza. Quando uscite, dovete indossare il burka.
Altrimenti verrete duramente
percosse. Sono proibiti i cosmetici. Sono proibiti i gioielli. Non
dovete indossare abiti attraenti. Non dovete parlare se non per
rispondere. Non dovete guardare negli occhi gli uomini. Non dovete
ridere in pubblico. In caso contrario, verrete bastonate."
(Mille splendidi soli, Khaled Hosseini)
"Rimasti
soli, si limitò dapprima a rimproverarmi la mia leggerezza, la
smania nuovissima venutami quell'anno di frequentar gente, di
mostrarmi elegante e brillante. Per essere tranquilli in paese non
bisognava uscire dal proprio guscio!" (Una donna,
Sibilla Aleramo)
Due società completamente
differenti, sia in termini di spazio che di tempo; due realtà in cui
il destino della donna è già stato scritto dalla nascita. Due
storie di donne che, in quanto esseri umani,
hanno il pieno diritto di avere e
inseguire dei sogni, a cui però, affacciandosi alla vita,
sono tenute a rinunciare. Infatti, in opposizione alle loro
aspirazioni, esse vanno incontro a tre principali costrizioni, che
abbiamo enucleato di seguito.
La prima è la rinuncia
all'individualità. La donna molto spesso ne è perfettamente
cosciente, ma non può fare nulla per contrastarla: "Nei
sentimenti contrari che mi combattevano, io sentivo naufragare la mia
volontà, la mia persona, tutto quello che avevo creduto di essere e
a cui rinunciavo desolatamente";
"Perché, alla sera, attendendo
d'esser raggiunta da mio marito nel letto che tante miserie ricordava
, e allontanandone con il pensiero il giungere sentivo nel mio sangue
penetrare la persuasione d'un diritto mai soddisfatto, e con essa un
impeto formidabile di conquista, lo spasimo di raggiungere, di
conoscere quella gioia dei sensi che fa nobile e bella la materia
umana". D'altro canto per l'uomo ciò è normale,
scontato: “ Incapace di ogni indagine, mio
marito era soddisfatto della mia tranquillità esteriore, della
trasformazione evidente del mio carattere, sempre più remissivo".
La seconda è la
sopportazione. Infatti, una pazienza senza limiti è un requisito
fondamentale non solo per adempiere al ruolo di moglie, ma anche solo
per sopravvivere. "Una
volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di
una donna infelice nel mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al
cielo si raccoglievano a formare le nubi, e poi si spezzavano in
minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente «A ricordo di
come soffrono le donne come noi» aveva detto.« Di come sopportiamo
in silenzio tutto ciò che ci cade addosso»”.
In un ambiente come quello di Mariam, dove uno dei pericoli maggiori,
se non il principale, è proprio il marito, la donna non ha né il
diritto né la possibilità di difendersi. Inoltre, l'uomo ha sempre
ragione, in ogni circostanza: "Imparalo
adesso e imparalo bene, figlia mia. Come l'ago della bussola segna il
nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna a cui
dare la colpa. Sempre. Ricordalo, Mariam." Eppure, anche
in un luogo del tutto diverso, all'inizio del '900, la donna ideale
"rappresentava il sacrifizio attivo e
semplice, incurante di ogni critica esteriore, pago d'una salda
speranza ultraterrena".
Infine, la terza consiste
nel duplice dovere, al quale la donna è costretta a sottostare, di
diventare un vero e proprio oggetto (nel caso di Mariam, quasi un
"elettrodomestico", da cui non ci si aspetta altro che
funzioni come si deve: “Puliva
la casa, badava che avesse sempre una riserva di camicie fresche di
bucato, cucinava i suoi piatti preferiti”)
e ad assumere la funzione di “utero”, nel senso di mera
genitrice. Qualora ella non rispetti ciò, le conseguenze su di lei
saranno pesanti e si tradurranno in una serie di violenze,
psicologiche e fisiche: “Dal
giorno stesso dell’hamam,
Rashid era cambiato. Quando tornava a casa la sera, quasi non le
rivolgeva la parola. Mangiava, fumava, andava a letto, a volte nel
cuore della notte, a volte nel cuore della notte tornava da lei per
un accoppiamento breve e, negli ultimi tempi, piuttosto brutale. In
quel periodo le teneva spesso il broncio, trovava da ridire su come
cucinava, si lamentava del disordine in cortile o le faceva notare
anche la minima sporcizia che scopriva in casa. A volte, il venerdì
la portava in città, come faceva un tempo, ma camminava in fretta e
sempre qualche passo davanti a lei, senza parlare, incurante che lei
dovesse quasi correre per stargli al passo.“
All'inizio sono piccoli gesti, ma,
accumulandosi con l’andare del tempo,
culmineranno in un delirante gesto di Rashid, marito di
Mariam, che le farà ingerire e masticare delle pietre, come
punizione della sua mancata maternità. Quest’ultimo aspetto
dell’essere madre, tuttavia, non deve essere vissuto come una delle
tante rinunce che appartengono alla donna e, nel caso ciò avvenga,
tale meccanismo pericoloso deve cessare, per amor proprio ma
soprattutto nei confronti dei bambini stessi. (“Per
quello che siamo, per la volontà di tramandare più nobile e bella
in essi la vita, devono esserci grati i figli, non perché, dopo
averli ciecamente suscitati dal nulla, rinunziamo all’essere noi
stesse”). Sibilla Aleramo lo
esplicita in un’accorata e puntuale riflessione:
“Perché nella maternità adoriamo il
sacrifizio? Donde è scesa a noi questainumana
idea dell’immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli si
tramanda il servaggio. E’ una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un
certo punto nella vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene
chi ci generò; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato
adeguatamente l’olocausto della persona diletta. Allora riversiamo
sui figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e
offrendo un nuovo esempio di mortificazione, di annientamento. Se una
buona volta la fatale catena si spezzasse, e la madre non sopprimesse
in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio
di dignità?”
La
differenza sostanziale fra i due libri presi in esame è il fatto che
in Mille splendidi soli
manchi l'emancipazione intellettuale della donna: “«Se
la ragazza vuole studiare, lasciala, mia cara. Lascia che vada a
scuola» «Studiare? Cosa c'è da imparare? (...) Che senso ha dare
un'istruzione a una ragazza come te? Sarebbe come lustrare una
sputacchiera. E poi, in quelle scuole non imparerai niente di utile.
C'è una sola abilità che serve a donne come te e come me e di certo
non te la insegnano a scuola. (...) Il tahamul.
La sopportazione»”.
A Mariam vengono quindi negati il diritto e la possibilità di
studiare, nonostante lei desideri andare a scuola; la società in cui
vive, inoltre, non le permette né di opporsi né, tanto meno, di
ribellarsi a una tale privazione. Il percorso di Sibilla Aleramo,
invece, è totalmente diverso proprio perché diverso è l'ambiente
in cui vive (“Seguì
un intenso, strano periodo, durante il quale non vissi che di
letture, di meditazioni e dell'amore di mio figlio”).
Ella riesce a riscattarsi e a prevalere sul marito – pur con alcuni
sacrifici – grazie alla sua intelligenza, alla sua determinazione e
ai sempre più numerosi libri che continua a leggere, tanto che
l'uomo appare man mano sempre più misero e povero d'intelletto. “Ed
ecco che infine penetrava in me il senso di un'esistenza più ampia,
il mio problema interiore diveniva meno oscuro, s'illuminava dal
riflesso di altri problemi più vasti, mentre mi giungeva l'eco dei
palpiti e delle aspirazioni di altri uomini. Mercé i libri io non
ero più sola, ero un essere che intendeva ed assentiva e collaborava
ad uno sforzo collettivo. Sentivo che questa umanità soffriva per la
propria ignoranza”.
Questo
difficile percorso che Sibilla intraprende la porta a diventare molto
più simile al suo modello di donna di quanto non sia mai stata,
oltre che a scrivere per lavoro, una delle sue aspirazioni. “Alfine
mi riconquistavo,
alfine
accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di
lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di
forte, d'incontaminato, di bello. (...) Alfine risentivo il sapore
della vita”,
scrive, assumendo piena consapevolezza del suo cambiamento e
dimostrando una grande soddisfazione della riconquista effettuata,
del raggiungimento di ciò che da sempre avrebbe dovuto essere suo
per diritto.
“Come
può un uomo che abbia avuto una buona madre divenir crudele verso i
deboli, sleale verso una donna a cui dà il suo amore, tiranno verso
i figli? Ma la buona madre non deve essere, come la mia, una semplice
creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana. E
come può diventare una donna se i parenti la dànno, ignara, debole,
incompleta, a un uomo che non la riceve come sua eguale; ne usa come
d'un oggetto di proprietà; le dà dei figli coi quali l'abbandona
sola, mentr'egli compie i suoi doveri sociali, affinché continui a
baloccarsi come nell'infanzia?”
LE
DONNE MUSULMANE IN ITALIA. di Bruno Henriquet
Spesso,
in Italia, le donne musulmane vivono in uno stato di abbandono. In
molti casi viene loro sottratto il permesso di soggiorno dal marito,
gli viene impedito di imparare l'italiano e rimangono rinchiuse nel
loro isolamento, fisico ma anche culturale perché non conoscono i
diritti che avrebbero nel nostro paese. Molte sono tenute segregate
in casa in nome della religione islamica quando in realtà non sono
precetti religiosi che impediscono la loro vita normale ma solo
chiusure mentali. Le donne, mogli e figlie devono stare sotto
l'autorità dell'uomo e se non ubbidiscono vengono picchiate,
maltrattate, violentate e isolate.
Perché,
nei paesi di origine si vive meglio che in Italia?
In
Marocco, ad esempio, le donne sono assolutamente autonome, ricoprono
incarichi politici, escono, ballano, si truccano. Poi arrivano qui e
dopo poco la vita cambia perché i mariti cominciano a frequentare le
comunità e alcuni imam incitano all'estremismo a difendersi dalle
abitudini dell'Occidente. Così i mariti cambiano e cominciano a
difendere il loro territorio a partire dalle donne. Impongono il velo
che non ha niente di religioso, impediscono alle donne di uscire da
sole, di rivolgere la parola ai vicini, di andare all'ospedale se non
in presenza di un uomo di casa, di fare qualunque cosa da sole.
I
moderati sono coloro che vogliono che uomini e donne abbiano gli
stessi diritti e siano tutelati dalla Costituzione italiana. Gli
estremisti sono tantissimi nel nostro paese e sono quelli che invece
non vogliono l'integrazione perché è così che si tiene coesa la
comunità. Si è più forti come comunità se ci si difende da
qualcosa e loro si difendono dai costumi occidentali.
Che
cosa si nasconde dietro il termine multiculturalismo?
C'è
molta indifferenza dietro questo termine che tutto permette e
giustifica, ci si nasconde dietro il fatto che vogliamo rispettare la
cultura del diverso, per lasciare correr e diventare complici delle
violenze. Perché chi non condanna è complice. Basta con questo
relativismo culturale, dobbiamo smettere di tollerare e cominciare ad
espellere. Chi pratica la poligamia che è vietata, chi fa violenza
sulle donne, chi da le figlie spose bambine, chi le tiene segregate
in casa, chi istiga alla violenza e chi non permette la libertà
religiosa.
L’istruzione
femminile in Italia: la conquista di un diritto fondamentale per
l’affermarsi della donna all’interno della società
di Martina Formentini
Prendendo come estremo temporale i
primi anni della seconda metà del ‘800, periodo in cui nasce
formalmente lo Stato italiano, si possono ripercorrere le principali
e più significative situazioni relative al rapporto tra il genere
femminile e l’istruzione. La conquista oggigiorno scontata del
diritto allo studio è in realtà frutto di un lungo processo di
recente compimento nella nostra società, ma di grande importanza
dati i numerosi e vari riscontri che ha in moltissimi ambiti.
In un clima politico vivace e
movimentato, si assiste in questo periodo in Italia a una tendenza
sociale conservatrice che si riflette anche sulla questione
dell’istruzione: si era soliti infatti identificare lo studio come
attività riservata agli uomini, mentre alle donne si associava
solamente il ruolo di moglie. La donna doveva quindi essere educata
ma non istruita e la sua educazione doveva essere relativa all’uomo
che durante tutta la vita, aveva potere decisionale su ogni questione
che la riguardava. I tentativi di rivolta a questa condizione sono
rari e associabili a quelle che sono state definite donne
innovatrici; ciò è dovuto soprattutto al fatto che la convenzione
sociale che identificava la donna come individuo totalmente succube
era talmente radicata da non rendere possibile l’instaurarsi di
situazioni diverse da quelle descritte. La totale sottomissione alla
figura maschile inoltre, e lo sfondo esclusivamente domestico in cui
si muove la donna, riflettono la condizione settecentesca che voleva
quest’ultima come la perfetta moglie e madre descritta per esempio
nei libri di Jane Austen, che propongono figure femminili
all’apparenza frivole e incapaci di avere altra aspirazione nella
vita se non quella di accasarsi e sposare l’uomo migliore
relativamente al rango sociale d’appartenenza.
Il binomio madre e moglie permane
associato al ruolo sociale della donna durante tutto il periodo
fascista dove era comune accostare all’uomo istruito, colto e
politicamente attivo, una figura femminile che lo supportasse. È
propria del periodo fascista la tendenza a pareggiare e omologare la
società, ciò comporta la nascita di stereotipi, ancora radicati nel
nostro tempo, che intervengono direttamente nel delicato ambiente
della formazione infantile. Compaiono infatti in questo periodo
manuali e libri per l’infanzia che rappresentano graficamente la
donna come una casalinga, una mamma, una principessa, o nei casi
migliori come una maestra di asilo. È bene osservare come il
proporre questo tipo di immagini all’ingenuità delle bambine, le
spinga a non allargare i propri orizzonti e le proprie aspettative ma
ad aspirare al compimento di una vita che le veda come personaggi
secondari e passivi.
“Femminismo!”
esclamava ella. “organizzazione di operaie, legislazione del
lavoro, emancipazione legale, divorzio, voto amministrativo e
politico … tutto questo, sì, è un compito immenso, eppure non è
che la superficie: bisogna riformare la coscienza dell’uomo, creare
quella della donna!” E la buona vecchia la cui energia contrastava
vittoriosamente colla gravezza penosa della persona, mi portava con
lei a vedere le sue opere nuove o rinnovate. “Agire! Questa è la
vera propaganda!”. Con queste
parole Sibilla Aleramo descrive la situazione italiana nella seconda
metà del ‘900 che vede al centro della scena, l’affermarsi della
seconda ondata delle rivolte femministe in età contemporanea. I
movimenti femministi di questo periodo sono numerosi e promuovono
sostanzialmente gli stessi ideali che decenni prima avevano
caratterizzato il pensiero di quelle poche donne innovatrici le
quali, nonostante il grandissimo impegno profuso, a causa del loro
numero ridotto non avevano ottenuto nessun risultato. Al contrario la
rivoluzione femminista di questo periodo è forte e radicata e
ottiene importanti conquiste in merito ai diritti delle donne. Nell’
ambito dell’istruzione questi movimenti risultano incisivi dal
momento che si sviluppano parallelamente ai moti di rivoluzione
studentesca e per questo motivo, ottengono importanti risultati
riuscendo finalmente a uguagliare il livello d’istruzione maschile
e femminile.
Attualmente la
situazione italiana ha raggiunto, dopo un lungo e travagliato
percorso, una situazione di sostanziale parità tra i generi in
ambito scolastico. Si può osservare come oggigiorno, secondo dati
nazionali, il numero di ragazze in tutto il sistema scolastico superi
per frequenza, risultati e regolarità quello dei ragazzi.
Solo a posteriori e con la
consapevolezza che, nonostante l’equilibrio raggiunto, sono ancora
molti i pregiudizi soprattutto di tipo sociale e culturale che
ostacolano la carriera scolastica e di formazione delle donne, si può
esporre una riflessione sull’importanza delle studio e sulle
ripercussioni che può avere anche in svariate situazioni anche di
disagio . L’istruzione infatti consente a ognuno di formare la
propria personalità e il proprio pensiero, strumenti necessari per
poter vivere in una società in modo attivo e pienamente coscienti
della propria condizione e di conseguenza dei disagi da cui si è
afflitti. Malala Yousafzai, la giovanissima premio Nobel per la pace
e paladina dei diritti delle donne musulmane, durante un intervento
all’ONU disse così in merito a ciò:” Prendiamo in mano i
nostri libri e le nostre penne, sono le nostre armi più potenti. Un
bambino, un’insegnante, un libro e una penna possono cambiare il
mondo”.
Il messaggio forte contenuto in queste
parole spero possa essere d’ispirazione concreta per tutte quelle
realtà del mondo nelle quali, soprattutto a causa delle condizioni
di povertà o delle radicate tradizioni religiose, è marcato il
divario tra uomini e donne a cominciare dal diritto all’istruzione,
che come si è visto è fondamentale per l’affermarsi nella società
di categorie costrette a condizioni d’inferiorità.
Lavoro di Giorgia Moretti
WOMAN
IS THE NIGGER OF THE WORLD , John Lennon
rit. La
donna è la negra del mondo
Sì lo è… pensaci
La donna è la
negra del mondo
Pensaci… fa’ qualcosa in proposito
La
costringiamo a dipingersi la faccia e a ballare
Se non vuole
essere una schiava, le diciamo che non ci amaSe
è vera, le diciamo che cerca di essere un uomo
(1)
Mentre la umiliamo, fingiamo che ci si sia superiore
rit.
La donna è la negra del mondo… sì lo è
Se non mi credi, dà
un’occhiata a quella con cui stai
La donna è la schiava degli
schiavi
Ah, sì… meglio che tu lo gridi forte
La
costringiamo a portare in grembo e allevare i nostri figli
E poi
la lasciamo avvilita perché è diventata una femmina vecchia e
grassa
Le diciamo che a casa è l’unico posto dove deve stare
E
poi ci lamentiamo che è troppo ingenua per esserci amica
rit.
La donna è la negra del mondo… sì lo è
Se non mi credi, dà
un’occhiata a quella con cui staiLa
donna è la schiava degli schiavi
(2)
Sì… va bene… pensaci!
La insultiamo tutti i giorni
in TV
E ci meravigliamo perché non ha coraggio o fiducia
Quando
è giovane uccidiamo la sua voglia di essere libera
Mentre le
diciamo di non essere così brillante
La disprezziamo per essere
così stupida
rit. La donna è la negra del mondo
Sì lo è…
se non mi credi
Dà un’occhiata a quella con cui stai
La
donna è la schiava degli schiavi
Sì lo è… se mi credi, è
meglio che tu lo grida forte
La costringiamo a dipingersi la
faccia e a ballare (x6)
(1)
Frida Kahlo (1907-1954) è
il simbolo dell'avanguardia artistica e dell'esuberanza della cultura
messicana del Novecento. Icona indiscussa della cultura messicana
novecentesca, è considerata l'anticipatrice del movimento
femminista.
La sua
arte si fonde con la storia e lo spirito del mondo a lei
contemporaneo, riflettendo le trasformazioni sociali e culturali
soprattutto in ambito femminile; come, infatti, raccontava suo marito
Diego Rivera
"La
prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta
e inesorabile schiettezza, in modo spietato ma al contempo pacato,
quei temi generali e particolari che riguardano esclusivamente le
donne".
Si
tratta di una donna che ha rotto i convenzionalismi, è stata
capace di rappresentare se stessa e di diventare un portento. È
stata in grado di difendere le sue idee, apparire mascolina,
schierarsi con il femminismo in un’epoca in cui il mondo si era
incattivito attraverso l’ostentazione del maschilismo imperante. Ha
rifiutato la sua subordinazione all’universo maschile, si è resa
autosufficiente, è diventata un simbolo del femminismo e
dell’uguaglianza tra i sessi. Con le sue azioni e le sue opere, ha
sostenuto l’idea che tutti gli esseri umani hanno la stessa
posizione nella piramide della vita.
Naturale
è bello. Il messaggio, forte e chiaro, viene “gridato” ancora
oggi dalle opere d’arte di Frida Kahlo; pare che con quei
quadri voglia dirci ancora adesso: “Lottate per i vostri ideali e
accettate i vostri difetti. Anzi, rendeteli il vostro tratto
distintivo e punto di forza”. Lei lo ha fatto ed è diventata
un’icona di stile, oltre che un simbolo del femminismo. Spesso nei
suoi autoritratti indossa il costume Tehuana, opta per toni accesi,
multicolor, porta capelli lunghissimi tassativamente con riga
centrale e raccolti in uno chignon o in trecce, il tutto valorizzato
da corone di fiori. Sulle labbra, rossetto rosso. Mentre spopolavano
le sopracciglia sottilissime, lei le lascia naturali. Famoso è
infatti il suo mono-sopracciglio. Stessa cosa per i baffi.
Noncuranza?
Diciamo più sicurezza di sé, non adeguamento alle tendenze, tanto
che a notarla è anche Vogue USA che le dedica un servizio nel 1937
e, dopo la sua morte, Vogue Mexico che nel 2012 la mette in
copertina.
Insomma,
con lei i difetti diventano pregi, aspetti da esaltare, da non
nascondere. E’ una donna forte, che ha avuto una vita difficile tra
incidenti, malattie, tradimenti. Ma lei combatte. E anche il suo
aspetto eclettico, esotico, è la sua forza. E’ in controtendenza
in tutto e per tutto.
Questa
frase anche al giorno d'oggi è molto veritiera: infatti una donna,
come Frida Kahlo, che affronta la vita con grinta, occupa posti di
lavoro o nella società che un tempo appartenevano all'uomo o che
afferma la propria persona con energia e carica per molti uomini può
risultare scomoda. Proprio in questo contesto nasce il femminicidio
che, purtroppo, ormai è entrato nella vita quotidiana.
John
Lennon con la sua canzone è stato il primo a parlare delle donne da
questo punto di vista, denunciando soprattutto il modo in cui esse
sono trattate da certi, uomini, o meglio presunti tali. Il titolo del
brano è volutamente provocatorio: "nigger" è infatti il
dispregiativo per "nero"; quindi "Woman is the nigger
of the world" significa "la donna è la negra del mondo".
La
canzone procede in un crescendo di rabbia e di accuse rivolte
all'uomo e a pari passo la voce di Lennon si fa sempre più aspra e
il ritmo del brano si fa incalzante. Si chiamano in causa la
costrizione imposta quasi solo esclusivamente alla donna della
responsabilità e della crescita dei figli, si ricorda come si cerchi
confinarla in casa. Così, lei è "the slave for the slaves",
la schiava per gli schiavi(2). Infatti, qualsiasi uomo, di ogni
grado economico, politico, etnico, di qualsiasi convinzione
religiosa, culturale, è certo di poter controllare, dominare o
manipolare almeno una persona: la donna e non di rado tutto ciò
sfocia nella violenza.
Anche
per ciò la canzone è ancora molto attuale: non solo per come può
vivere la donna in Paesi fondamentalisti sul piano religioso; questa
sarebbe una considerazione troppo facile.
No,
penso che il brano sia ancora molto attuale anche in Paesi cosiddetti
democratici e liberi, che però non fanno granché per contrastare la
visione della donna come oggetto di piacere sessuale e come conquista
su cui esercitare un potere.
VEDOVE: LA COLPA DI
ESSERE SOPRAVVISSUTE di Beniamino Rocca
Le condizioni etiche e
legali in cui si trovano le vedove nel mondo
Vedova: un termine che molti usano,
normalmente, magari per indicare una persona o parlandone; ma ci sono
paesi in cui il termine “vedova” non è solo quello “stato
civile” indicato sulle nostre carte d’identità. È a dir poco
sconvolgente scoprire come una parola così “comune” nel nostro
linguaggio, triste, ma limitata ad indicare una condizione, sia una
condanna vera e propria in altri paesi nel mondo. Tutto ciò è
strettamente legato alle grandi violazioni dei diritti umani che le
donne ancora oggi subiscono (matrimoni forzati, violenze,
mutilazioni), ma sebbene la situazione sia ancora parecchio critica,
la speranza del cambiamento sembra sempre più vicina. Le condizioni
di una donna che subisce la perdita del marito sono, in alcuni paesi
del mondo, spaventose: nella cultura indiana, le donne rimaste vedove
sono colpevoli di essere sopravvissute al proprio marito; Vasantha
Patri, autrice di un saggio sulle vedove indiane, scrive: <le
vedove sono vive fisicamente, ma morte socialmente>. Esse infatti,
alla morte dell’uomo che “le aveva prese” perdono tutto, ogni
bene, soldi e anche la loro stessa dignità. Oggi, numerose
associazioni stanno cercando di aiutare queste donne che,
letteralmente cacciate fuori di casa e spogliate di ogni bene, si
sono ridotte a vivere “alla giornata” vivendo per strada in
condizioni terribili. Ma con quale diritto, regola o legge non
scritta si sono trovate in questa condizione? La società? La legge?
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Altro caso sconvolgente è quello dell’Uganda dove, come in molti
altri paesi del continente africano, si verifica il fenomeno del
property grabbing, ovvero accade che, quando il marito muore,
alla vedova vengono tolti tutti i beni, dalla casa ai terreni, fino
agli stessi figli; è evidente la concezione, ancora viva e ben
radicata, della donna/moglie come una “proprietà” che, quando il
suo primo “padrone” muore, passa automaticamente ad un suo
parente prossimo, o comunque dello stesso clan. Le storie che si
sentono hanno dell’incredibile: Clare Thumushabe, rimasta vedova
con due figli e gravida del terzo, venne convocata dal clan del suo
defunto marito, e in questa riunione che ha dell’incredibile le
dissero che i suoi figli non le appartenevano più; le ordinarono di
tenersi alla larga dai raccolti del terreno di cui non poteva più
disporre e le comunicarono che il cognato - il fratello maggiore del
marito, vent’anni più vecchio di lei - si sarebbe subito
trasferito nella sua casa e l’avrebbe presa come terza moglie. La
convinzione della moglie/proprietà è molto forte in particolare
nelle zone rurali dell’Africa, tanto che, quando Clare sostenne,
giustamente, che il marito aveva lasciato dei documenti che provavano
che la terra spettava a lei, per tutta risposta i parenti sostennero
che evidentemente lei aveva fatto un qualche maleficio per farlo
diventare stupido e che era da vedere quanto lui l’avrebbe potuta
aiutare dalla tomba in cui giaceva. Numerose
associazioni che si stanno muovendo per cambiare questa situazione,
anche se la situazione è parecchio delicata perché, come dice la
presidentessa di una di queste, «Se sei vedova, porti sfortuna. Sei
dannata. Ti si rimprovera la morte del tuo sposo. Lui poteva avere
anche diverse case, diverse mogli, essersi contagiato con l’Hiv, ma
se muore è colpa tua. L’hai ucciso tu». Ecco alcuni dei reati
contestati nella prima metà del 2016: sfratto illegale, violazione
di domicilio, interferenza indebita, vale a dire l’ingerenza
inammissibile negli affari di qualcun altro. Come negli altri paesi
del mondo, neppure in Uganda esiste una legge che proibisce di
trattare una vedova come se la sua vita non avesse più valore.
Personalmente, spero che la situazione possa cambiare presto. Con
quale diritto un uomo, un qualsiasi uomo, può permettersi di fare
una cosa del genere?
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FONTE:
National Geographic
http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2017/02/10/foto/lutto_per_la_vita-3408803/1/
Dovremmo essere tutti femministi di Virginia Rizzi
Chimamanda Ngozi Adichie è una scrittrice nigeriana, le sue opere sono tradotte in 13 lingue e sono apparse in svariate pubblicazioni incluse importanti riviste straniere.
Nel dicembre del 2012 Adichie ha parlato di femminismo per TEDxEuston – un incontro annuale dedicato all’Africa a cui partecipano oratori di diverse discipline per scuotere un pubblico formato da africani e amici dell’Africa - con un intervento dal titolo We should all be feminists.
Poniamoci alcune domande: gli stereotipi plasmano il nostro modo di pensare? A cosa pensi quando senti la parola femminista? La parola femminismo non deve metterci paura, significa desiderare la parità dei diritti sociali economici e civili, vuol dire parità di genere.
“il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo” Ad esempio l’uomo non può esprimere le proprie emozioni perché viene immediatamente stigmatizzato come una femminuccia, mentre una donna non può mostrare il suo carattere forte e sportivo perché diventa un maschiaccio.
“Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a se stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli”
Occorre insegnare ai propri figli a conoscersi e a rispettare la diversità dell’altro.
Anche le nuove generazioni riescono ad essere maschiliste ed ingiuste, non parlo solo di ragazzi, ma soprattutto di ragazze. C’è una continua esigenza di mettersi in competizione con le proprie coetanee a partire dall’abbigliamento, dal viso, dalle unghie e dalla pelle: si è sempre pronte a giudicare l’altro per sentirsi migliori. Ma che vita faticosa … Le ragazze di oggi sono capaci ad apostrofare un’altra con il soprannome di “prostituta” solo perché ha il pantaloncino più corto o perché riceve più attenzioni. Le peggiori maschiliste diventano proprio le ragazze, che si misurano secondo vecchi e ammuffiti stereotipi. Se imparassimo a voler bene a noi stessi, senza dover sminuire in continuazione chi abbiamo davanti, questo sarebbe sicuramente un mondo migliore.
“La mia definizione di femminista è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio”
E’ così che Chimamanda conclude il suo discorso, ed è così che voglio concludere questo mio breve sfogo di pensieri: se vogliamo cambiare il mondo in cui viviamo dobbiamo metterci al lavoro tutti insieme. Il femminismo non riguarda solo le donne, ma gli uomini e le donne, occorre che entrambi imparino a conoscersi, ad esprimere quello che sono, sapendo che in tutti e due ci sono tratti maschili e femminili: solo nel rispetto reciproco e nella relazione ciascuno può diventare sé ed esprimere il suo meglio. In questo modo faremo crescere una nuova cultura; perché “la cultura non fa le persone. Sono le persone che fanno la cultura” e così consegneremo un mondo migliore alle generazioni future.
APPROFONDIMENTO DI VITTORIA LUISA ZAGHET
In Afghanistan la realtà di qualche decennio fa era molto diversa da quella odierna: donne vestite come le attuali occidentali, verdissimi giardini e meravigliose strutture architettoniche.
È errore comune pensare che questo paese sia sempre stato un Paese dilaniato dalla guerra e lontano dalla cultura occidentale.
Sono stati i talebani infatti a portare all'estremo il fanatismo riguardante la loro religione in Afghanistan. I cambiamenti portati da quest'ultimi si possono notare anche nella semplice vita quotidiana, che tanto semplice omai non è più. Infatti questi distruggono i televisori(le immagini sono vietate dall'Islam), chiudono tutte le scuole femminili, sono arrivati a proibire gli aquiloni, a vietare il rumore delle scarpe delle donne, a distruggere le secolari statue di Buddha. Per non parlare degli scontri sanguinolenti con le altre etnie.
Con il loro arrivo la situazione quasi "idilliaca" viene completamente ribaltata, e le donne sono coloro che ne hanno risentito maggiormente, a quest'ultime infatti è stato sostanzialmente proibito di far parte della società.
Purtroppo in questi paesi le donne sono considerate come dei veri e propri oggetti, usate per soddisfare i bisogni sessuali degli uomini e compiere attività domestiche. In base ad alcuni versetti del Corano come: "le vostre donne sono come un seme da coltivare e quindi potete farne quello che volete" (2:223) e a causa di sbagliate interpretazioni delle scritture, gli uomini hanno assunto un potere assoluto nei confronti delle donne e queste sono private di ogni diritto: dietro ai loro burqa non possono vedere, né tanto meno essere viste, parlare, ridere, rischiano quotidianamente di essere fustigate pubblicamente e ingiustamente. In questo modo rimangono private non solo della libertà, ma anche di un volto, di una voce, di movimento. Purtroppo ai talebani questo non basta, come ci dice Malala infatti, loro temono realmente le donne e vorrebbero privarle anche del pensiero e della volontà. Quel che è peggio è che spesso ci riescono, basti pensare che prima che i talebani arrivassero queste esercitavano la professione di medico, ingegnere, infermiera o qualunque altro mestiere, mentre ora sono nascoste dietro il burqa e segregate in casa sotto lo stretto controllo degli uomini, con i vetri oscurati per evitare che qualcuno, da fuori, possa scorgerle, picchiate brutalmente per ogni minima violazione della particolare legge coranica riconosciuta dai talebani. Costrette a queste insostenibili condizioni di vita, molte sono afflitte da comprensibili problemi psichici, altre si uccidono, si lasciano morire o muoiono per mancanza di cure mediche, dal momento che dottori maschi non possono curarle e le donne non possono più studiare né lavorare.
Queste restrizioni continuano a ucciderle nello spirito e a privarle della stessa esistenza umana.
Molte donne cercano tuttora di lottare contro queste ingiustizie, in particolare è ricordata per la sua battaglia a favore dell'istruzione delle bambine contro i talebani e vincitrice del premio Nobel per la pace, Malala Yousafzai.
In particolare, la sua esperienza è testimoniata dal libro "io sono Malala", dove racconta la sua vita a partire dalla nascita fino a quando ha rischiato di morire.
Nel libro narra di quando era bambina e andava a scuola vivendo tranquillamente con la sua amorevole famiglia. Dal momento in cui i talebani fanno la loro entrata, la loro vita è ribaltata e la paura diventa qualcosa di quotidiano con cui tutti devono imparare a convivere. Nonostante ciò, la determinatezza e la voglia di libertà e di diritti non abbandonano l'animo della ragazzina, che cerca in tutti i modi di combattere le imposizioni dei talebani sulle donne, in particolare a favore dell'istruzione.
Da sempre educata a lottare per i propri diritti, fu incoraggiata dal padre a scrivere per un corrispondente radiofonico una sorta di diario per testimoniare la vita sotto i talebani.
Tra tutti i suoi pensieri quello che emerge maggiormente riguarda la paura di andare a scuola, poiché, come ci racconta, i talebani avevano emanato un editto che proibiva a tutte le ragazze di frequentare la scuola.
<< Solo 11 compagne su 27 sono venute in classe. Il numero è diminuito a causa dell’editto dei talebani. Per la stessa ragione, le mie tre amiche sono partite per Peshawar, Lahore e Rawalpindi con le famiglie.
Mentre tornavo a casa, ho sentito un uomo che diceva “Ti ucciderò”. Ho affrettato il passo, guardandomi alle spalle per vedere se mi seguiva. Ma con grande sollievo mi sono resa conto che parlava al cellulare. Minacciava qualcun altro.>>
<<Oggi è vacanza, e mi sono svegliata tardi, alle 10 circa. Ho sentito mio padre che parlava di altri tre cadaveri trovati a Green Chowk (al valico). Mi sono sentita male sentendo questa notizia. Prima del lancio dell’operazione militare, andavamo spesso a Marghazar, Fiza Ghat e Kanju per il picnic della domenica. Ma ora la situazione è tale che da un anno e mezzo non facciamo più un picnic.
Andavamo sempre anche a passeggiare dopo cena, ma adesso torniamo a casa prima del tramonto. Oggi ho studiato e giocato con mio fratello, ma il mio cuore batteva forte — perché devo andare a scuola domani.>>
Piano piano Malala diventa un simbolo, finché i talebani non decidono di ucciderla.
Miracolosamente la ragazza sopravvive ad una sparatoia e da quel momento in poi diventa famosa per il suo coraggio.
Inoltre non solo ha recentemente ricevuto il premio Nobel per la pace, ma ha anche diversi progetti per il futuro, indirizzati alla lotta contro i talebani e ai diritti delle donne.